venerdì 19 febbraio 2016

Allarme demografico in Italia


da repubblica.it 

ALLARME DEMOGRAFICO IN ITALIA: NASCITE RESTANO AL MINIMO DALL'UNITA' D'ITALIA. PICCO DEI DECESSI DAL DOPOGUERRA.

I dati dell'Istat. La popolazione residente in Italia si riduce di 139 mila unità. Al 1 gennaio 2016 i residenti erano 60 milioni 656 mila. Centomila italiani (+12,4%) hanno lasciato Paese

E' ancora allarme demografico in Italia con nascite in caduta libera e un amento dei decessi. 
Nel 2015 sono nati 488mila bambini, 8 per mille residenti, quindicimila in meno rispetto al 2014, toccando il minimo storico dalla nascita dello Stato Italiano. Lo dice l'Istat che ha diffuso gli indici demografici.Il numero dei figli medi per donna,è di 1,35 al 2015 che si conferma il quinto anno consecutivo di riduzione della fecondità. L'eta media delle donne al momento del parto è salita a 31,6 anni.

Mentre nascono sempre meno bambini aumenta il numero delle morti. Nel 2015 si è toccato il picco più alto di decessi dal secondo dopoguerra: i morti, secondo gli indicatori dell'Istat, sono stati 653 mila, 54 mila in più dell'anno precedente (+9,1%). L'aumento di mortalità risulta concentrato nelle classi di età molto anziane (75-95 anni).

Il tasso di mortalità, pari al 10,7 per mille, è il più alto tra quelli misurati dal secondo dopoguerra in poi. Dal punto di vista demografico, il picco di mortalità del 2015 è in parte dovuto a effetti strutturali connessi all'invecchiamento e in parte al posticipo delle morti non avvenute nel biennio 2013-2014, più favorevole per la sopravvivenza. Diminuisce la speranza di vita alla nascita. Per gli uomini si attesta a 80,1 anni (da 80,3 del 2014), per le donne a 84,7 anni (da 85).

E' ancora allarme demografico quindi nel nostro paese. Nel 2015, secondo i dati del Report Istat, la popolazione residente in Italia si riduce di 139 mila unità (-2,3 per mille). 
Al 1 gennaio 2016 la popolazione totale è di 60 milioni 656 mila residenti. Gli stranieri residenti in Italia al 1 gennaio 2016 sono 5 milioni 54 mila e rappresentano l'8,3% della popolazione totale. Rispetto a un anno prima si riscontra un incremento di 39 mila unità. La popolazione di cittadinanza italiana scende a 55,6 milioni, conseguendo una perdita di 179 mila residenti. Nel 2015 centomila cittadini italiani si sono cancellati dall'anagrafe per trasferirsi all'estero. Un dato in aumento (+12,4%) rispetto al 2014. L'anno scorso, le iscrizioni anagrafiche dall'estero di stranieri sono state 245 mila; 28 mila, invece, i rientri in patria degli italiani. Le cancellazioni per l'estero hanno riguardato 45 mila stranieri (-4,8% sul 2014) e centomila italiani 

mercoledì 17 febbraio 2016

Smaila: “In Italia, due pesi e due misure. Delle Foibe non interessa a nessuno”


da ilgiornaleoff.ilgiornale.it
 
«Sei libero domenica 7 febbraio? Mi piacerebbe averti con me a Verona per le celebrazioni del Giorno del Ricordo. Parlerà mia mamma». 

Il tono di Smaila, sempre un po’ scherzoso, aveva qualcosa di perentorio e ho risposto subito di sì.
E’ stata una buona scelta, ho avuto l’occasione di stare con lui in auto un paio d’ore, il tempo di andare a Verona da Milano e ritorno, e ho avuto modo di parlarci a lungo, soprattutto toccando il tema della sua fiumanità, i ricordi legati a Fiume, quella che, per lui nato a Verona, è la sua seconda città. Una chiacchierata in dialetto (io sono di Gorizia) e Smaila ha tenuto a sottolineare che a casa si è sempre parlato dialetto fiumano (i veri fiumani dicono ja per dire sì, retaggio dell’Austria-Ungheria, mentre i croati dicono da), era un modo per rimanere con le radici in Istria e per potersi intendere con i rimasti, i parenti che non se la sono sentita di abbandonare case, beni e attività per venire a vivere in Italia. Ognuno aveva le sue buone ragioni, ma per lungo tempo i rimasti sono stati visti dagli esuli come dei traditori. Oggi il tema dei rimasti è molto vivo e le associazioni degli esuli hanno riallacciato buoni contatti con le Comunità Italiane delle varie città dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia.

Come si viene a scoprire poco a poco, Fiume, pur facendo parte dell’Istria, è proprio sul confine tra Istria e Dalmazia e i fiumani si sono sempre sentiti, e lo sono veramente, un’altra cosa rispetto all’Istria e alla Dalmazia. Fiume era il porto più importante dell’Adriatico, più di Trieste, ed era di fatto lo sbocco al mare dell’Ungheria. Un’importante linea ferroviaria collegava direttamente Fiume a Budapest e qui vivevano molte famiglie ungheresi importanti, proprietarie delle più belle ville di Abbazia. Fiume, come ricorda Smaila, era una vera città colta, evoluta, multi-etnica e multi-culturale nel vero senso della parola. Grazie all’amministrazione austro-ungarica, l’integrazione non era forzata e naturalmente ogni gruppo etnico aveva le sue chiese e seguiva i propri ritmi e le proprie tradizioni, il tutto con un’armonia che oggi, in pieno periodo di globalizzazione, è veramente difficile vedere
Passato l’impero austro-ungarico, a Fiume venne il periodo di d’Annunzio e dei suoi legionari, che sbloccarono la questione fiumana con un atto di forza, facendo di Fiume una città completamente libera (e qualcuno aggiunge anche dissoluta…). Poi arrivò il governo italiano, i fascisti con l’italianizzazione forzata dei cognomi, poi i tedeschi con l’occupazione di quasi due anni, poi i partigiani titini e infine la Federazione Jugoslava. Tutti questi cambiamenti avvennero in meno di trent’anni.

La famiglia Smaila, dopo l’esodo, si stabilì in un primo tempo a Lucca e successivamente a Verona, dove, nel 1950, nacque Umberto. Si erano ambientati bene a Verona, ma il cuore batteva forte per Fiume e, già nel 1952, la famiglia Smaila cominciò a passare il confine per andare a trovare i parenti rimasti: genitori, sorelle, fratelli, zii e cugini. I primi anni in treno e dal 1956 con una fiammante Fiat 600, un’auto rivoluzionaria per l’epoca. A quel tempo non c’era l’autostrada e il viaggio era lungo e impegnativo. Soprattutto il passaggio al confine era qualcosa di traumatico, con il controllo certosino di tutto il bagaglio trasportato.  

Molti esuli avevano chiuso con l’Istria, non volevano più tornare a vedere com’erano diventate quelle terre da sempre considerate italiane. Molti invece, soprattutto spinti dalla presenza dei parenti rimasti, compivano annuali pellegrinaggi nelle loro terre d’origine.

Su come avvenivano questi viaggi da Verona a Fiume in 600, Umberto Smaila ha fatto un pezzo di cabaret durante la manifestazione di Verona, intrecciando ricordi e battute, ma al tempo stesso presentando concetti e sentimenti che sono quelli comuni a tutti gli esuli dal confine orientali, per intenderci quelli che hanno pagato interamente il debito di guerra di tutta l’Italia nei confronti della Jugoslavia, 125 milioni di dollari del tempo. Non sono mai stati risarciti dallo Stato italiano (si calcola che finora lo Stato ha restituito loro al massimo il 5%).

«Comunque fin dall’adolescenza avevo capito in cosa consisteva il paradiso socialista incarnato nella Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia» spiega Umberto. «C’erano code dappertutto, in particolare per i generi alimentari. Spesso, quando arrivava il tuo turno, la merce era finita e tornavi a casa con poco o niente. Per questo quando partivamo per le vacanze estive, rigorosamente a Fiume, portavamo un bel po’ di roba, dalla pasta al caffè, dal formaggio grana all’olio di oliva. Molti prodotti non esistevano nei negozi e per i nostri parenti il nostro arrivo era una festa. Le vacanze a Fiume erano caratterizzate da un’ottima cucina» ricorda ancora Smaila. «La nonna Anna (mamma di mio papà Guerrino, aveva fatto le scuole ungheresi e parlava correttamente il magiaro) a 90 anni si faceva tutta la via Monte Grappa per andare al mercato a prendere il pesce fresco per me. La nostra via era ripida e io ancora oggi mi chiedo come faceva a quell’età a percorrerla senza sforzo apparente. 
La famiglia di mia madre, Giuseppina detta Mery Nacinovich, aveva uno stabile con trattoria sottostante (confiscato tutto dai titini) in via Trieste, dove alla zia Nina avevano lasciato in uso un piccolo appartamento. Qualche volta andavo a dormire da lei e sentivo giù nei giardinetti suonare la fisarmonica con ballate popolari».

Riguardo alla cucina, Umberto Smaila ha ricordi affettuosi, limpidi e dettagliati. «Tutte le mie zie facevano a gara per farmi mangiare e penso sempre ai molti piatti prelibati che mi preparavano: le paprike impinide (d’inverno capuzzi impinidi), brodetto di seppie con polenta e un risotto con scampi e sugo di pomodoro, veramente eccezionale. La zia Ninetta era la specialista in goulasch. Gli anni passavano e mangiare mi piaceva sempre. Quando diventai più indipendente, alla fine della vacanza mi recavo da solo in una griglieria, a Susak (un sobborgo di Fiume) e mi ordinavo una doppia razione di rasnici e di civapcici, investendo in un colpo solo i 500 dinari che avevo messo da parte. Era il mio modo di salutare le mie terre».

La memoria di Umberto non smette di offrire racconti e aneddoti legati alle sue solide radici istriane. «Finita la prima liceo classico, i miei genitori mi regalarono una Lambretta e per un po’ di tempo d’estate andavo a Fiume in Lambretta, seguendo la 1100 del papà (un’auto più grande e comoda che aveva sostituito la mitica 600). Con quello scooter mi sono divertito alla grande, di sera con mio cugino coprivamo i 10 km che separano Fiume da Abbazia per andare a ballare e al ritorno faceva così freddo che ci lacrimavano gli occhi. Ricordo che una volta mi ero portato a Fiume una fonovaligia Europhon con un filo elettrico di 100 metri, avevo installato il tutto a casa di un’amica e dall’ultimo piano mettevamo le canzoni dei Beatles e ballavamo nei giardinetti sotto casa.  

Per Fiume era una cosa mai vista prima. Fascino e potenza della cultura occidentale, negli anni 1964/1966 si sentivano solo musiche dei Beatles e tutti volevano vestire i jeans, che compravano negli empori di Trieste. Io stesso portavo ai miei cugini jeans ogni volta che arrivavo a Fiume. Nonostante il regime di Tito non vedesse di buon occhio questa apertura, l’esigenza dei giovani locali di sentirsi uguali ai ragazzi che vivevano all’Ovest era un fiume in piena che non si poteva più contenere. Insieme a mio cugino Paolo ci davamo un gran daffare per movimentare l’estate dei nostri coetanei fiumani. Di giorno si andava con il trolleybus a Cantrida, dove al Bagno Riviera avevamo a disposizione dei tampolini per i tuffi. Il bagno era quello frequentato dai rimasti, mentre i croati frequentavano un altro stabilimento. Lì si parlava italiano, cioè dialetto fiuman».

Nel fluire dei ricordi di Umberto Smaila, siamo nel frattempo arrivati a Verona dove ha inizio la celebrazione del Giorno del Ricordo. La mamma di Umberto è fresca di parrucchiere e un po’ agitata per quello che dirà dal palco ai suoi concittadini veronesi, molti dei quali di origine fiumana. La mamma è personaggio di spicco a Verona e viene sempre intervistata come testimone vivente della tragedia del confine orientale. Presto darà alle stampe le sue memorie di fiumana e di esule. 
«Mia mamma – commenta Smaila – è sempre stata legata al tricolore, ai valori italiani. Mio papà era più legato a Fiume e al movimento autonomista di Riccardo Zanella, che voleva lo Stato Libero di Fiume. Infatti mia mamma ha sempre detto mi son italiana, mentre mio papà diceva mi son fiuman. Io come la penso? Sono orgoglioso di essere di quelle terre e di avere entrambi i genitori fiumani».

La celebrazione volge al termine e si riprende la strada di casa. La conversazione prosegue toccando anche la politica. «Io ero critico col regime jugoslavo, ma vivevo un momento spensierato della mia vita e non volevo essere causa di discussioni in famiglia, quando eravamo a Fiume. Lì si evitava di discutere di politica, si parlava più che altro di famiglia e di ricordi. Invece i figli di mio zio Mario fra di loro avevano accese discussioni per motivi politici, io mi tenevo volutamente fuori da quel contesto, mi limitavo a osservare.  

E’ incredibile come la guerra ha cambiato i destini di una famiglia: io avevo tre zii, cognati di mia madre, che hanno avuto tre cognomi diversi. Il primo, lo zio Romano Bradicich, partì in camicia nera alla conquista dell’Abissinia e si fece ben 11 anni di prigionia sotto gli inglesi, ha vissuto anche lui a Verona. Suo fratello Anselmo era andato a fare il comandante delle navi da crociera a Genova e aveva cambiato il cognome in Bradini, non volendo avere più niente a che fare con le terre natìe. L’ultimo fratello, un comunista in buona fede, era andato partigiano, era rimasto in Jugoslavia e il suo cognome era Bradicic, alla croata. Ci sarebbe da fare un film su una storia così».

Siamo quasi a Milano e la nostra conversazione arriva al dunque. «Guarda, la nostra storia non interessa a nessuno in Italia. Negli ultimi tempi, grazie al Giorno del Ricordo e alle altre iniziative che sono sorte (penso allo spettacolo Magazzino 18 di Simone Cristicchi che ha aperto gli occhi ad almeno un milione di persone) si è incominciato a fare un po’ di luce sulla tragedia degli esuli e sull’orrore delle foibe.  

In Italia c’è una visione camaleontica della storia, basti pensare alla lapide che c’è alla stazione di Bologna per ricordare il passaggio del treno dei profughi dall’Istria, quando attivisti comunisti buttarono sui binari i panini e il latte per i bambini preparato da organizzazioni caritatevoli. Su quella lapide c’è scritto che ci furono incomprensioni. Finchè quella parte politica che ha sempre visto i profughi come fascisti, per il solo torto di aver voltato le spalle al paradiso comunista di Tito, non capirà di avere completamente sbagliato le sue considerazioni, non si potranno fare passi in avanti.

E quella lapide è lo specchio di come stanno le cose. Si celebra l’epopea partigiana come ricetta salvifica per l’Italia, dimenticando un po’ troppo spesso che senza l’aiuto americano non si sarebbero potuti cogliere i risultati raggiunti. Qui tutti hanno la memoria corta, se si pensa che fino a poco tempo fa era una prassi quella di bruciare bandiere americane in certe manifestazioni di piazza; fortunatamente ora questi episodi sono più rari ma bisogna continuare a restringere sempre più gli spazi a certi inutili e idioti estremismi.  

Per i nostri morti sono sempre stati utilizzati due pesi e due misure, gli infoibati ammazzati dai comunisti titini non hanno mai avuto la stessa considerazione di cui hanno goduto gli ebrei ammazzati dai nazisti nei campi di concentramento. Per questioni di real-politik, comunisti e democristiani hanno fatto a gara nel tentativo di seppellire tutta la vicenda delle terre perdute in Istria e Dalmazia, escludendo questa parte di storia italiana dai libri di storia delle scuole, facendone divieto di parlarne in pubblico. 

Gli unici che parlarono di quelle vicende furono i partiti di destra, che spesso lo fecero per ottenere dei vantaggi elettorali, con questo però dando poi ragione a chi sosteneva che gli esuli e i profughi erano tutti fascisti. E’ come un cane che si morde la coda, sembra che non ne verremo mai fuori, ma la Giornata del Ricordo, le testimonianze sempre più diffuse e i passi compiuti finalmente da certi politici verso la verità storica tengono accesa la mia speranza e quella di tanti esuli di essere considerati perseguitati alla pari con gli altri.  

Coloro che lasciarono quelle terre per me sono degli eroi, soprattutto per quanto hanno subito dopo il rientro in Italia e sono italiani due volte, la prima per nascita e la seconda per scelta».

mercoledì 10 febbraio 2016

10 Febbraio • Giornata del Ricordo •


Oggi ci troverete per le strade del ricordo. 
Li' dove giunsero molti di quegli splendidi italiani. 
Italiani due volte, per nascita e per aver voluto restare italiani 
di fronte alla tragedia dell'occupazione 
delle loro terre e delle loro case. 
Noi non li dimenticheremo mai e li onoreremo sempre!

martedì 9 febbraio 2016

A Paolo


"Per essere degli uomini nuovi non basta credere in determinati valori, è necessario viverli e temprarli nell’agire, quotidianamente: questa è in parte l’importanza di fare politica"
A Paolo, e a tutti quei ragazzi che scelsero di donarsi, sacrificarsi, di essere esempio per tutti i loro coetanei.

Il loro testimone non si è mai perso, ma è passato di mano in mano per tutte le generazioni di ragazzi che nel loro ricordo hanno deciso di impegnarsi per la propria gente.

A Paolo, per mille anni

Cara Rai...


Demagogica e inopportuna la presenza di Elton John sul palco dell'Ariston; è scandaloso che il Festival della musica italiana, ricco di storia e tradizione per il nostro Paese, venga strumentalizzato a pochi giorni dal voto in Senato sul ddl Cirinnà.

Quello di questa sera è uno spot a senso unico, profumatamente pagato dai contribuenti italiani, sulle unioni civili e la stepchild adoption, che aiuterà gli spettatori a comprendere cosa succederà se passerà il disegno di legge; con la pratica dell'utero in affitto infatti una coppia omosessuale potrà letteralmente acquistare il proprio bambino all'estero per poi vivere sotto lo stesso tetto in Italia, strappandolo così dalle mani della mamma. I bambini hanno il diritto ad avere una mamma e un papà e non sono un capriccio, e solo dall'unione tra un uomo e una donna può nascere la vita. 

Non sarà né un disegno di legge né tanto meno una puntata di Sanremo a sovvertire le cose!

lunedì 8 febbraio 2016

«Togliatti e il Pci complici delle foibe»



Riportiamo questa bell'intervista di due anni fa alla giornalista e storica dell’arte Carla Isabella Elena Cace, esule di terza generazione, autrice di «Foibe ed esodo. L’Italia negata» (edizioni Pagine)

da iltempo.it

Un libro per «illuminare» l’oblio planato per decenni sulle foibe e sugli esuli istriani, giuliani e dalmati; per riempire le pagine vuote che gli storici «marchiati» con un simbolo a senso unico non hanno mai voluto scrivere; per risvegliare il ricordo di quanti patirono la furia comunista senza che la loro patria, l’Italia, tendesse la mano per accoglierli. Un libro intitolato «Foibe ed esodo. L’Italia negata» (edizioni Pagine), scritto dalla giornalista e storica dell’arte Carla Isabella Elena Cace, esule di terza generazione, che a 10 anni dall’istituzione del «Giorno del Ricordo» ha voluto sigillare la fine di un’epoca: l’epoca del silenzio e della verità negata, della storia fasulla e omertosa e delle menzogne divulgate per decenni. Il libro verrà presentato oggi alle 17 a Palazzo Ferrajoli, in piazza Colonna 355.

C’è un’Italia negata, un’Italia di vittime ignorate e di giovani, donne e vecchi «oscurati» per comodità storica e politica.
«L’eccidio dei connazionali di Venezia Giulia, Istria e Dalmazia è stato il più grande dopo l’Unità d’Italia. Ed è surreale che sia stato cancellato dalla coscienza nazionale. L’Italia aveva perso la guerra e quelle popolazioni hanno pagato il prezzo di una guerra che era di tutti gli italiani. Vivevano su un terra di confine e sono stati risucchiati dalla potenza del maresciallo Tito. Dobbiamo dire con chiarezza che la strage di questi italiani è avvenuta per mano di comunisti jugoslavi».

Nel dedicare il libro a suo nonno, Manlio Cace, ufficiale medico esule da Sebenico, lei parla di «congiura del silenzio». Da parte di chi?
«Per capirlo basta leggere i carteggi di Palmiro Togliatti con altri funzionari del Partito comunista dai quali si evince chiaramente la linea tenuta dal leader del Pci. Nel 1942 da Radio Mosca, Togliatti invitava gli italiani ad unirsi ai partigiani jugoslavi. Questa cos’è se non complicità nella pulizia etnica e nelle stragi delle foibe? Il Pci fu sempre contrario ad ascoltare le ragioni dei giuliano-dalmati, per motivi ideologici e per non incrinare l’amicizia con i popoli jugoslavi. Il loro silenzio successivo fu assoluto. Il Pci ha avuto il monopolio della cultura italiana, quindi dell’istruzione e della coscienza storica. Sono stati loro, complice l’atteggiamento da Ponzio Pilato della Dc, a decidere il racconto della nostra nazione, che cancellò una strage di proporzioni bibliche non ancora svelata. Della "congiura del silenzio", non va dimenticato, ha parlato anche il presidente Napolitano».

Nel libro le responsabilità vengono assegnate anche a una Dc «consociativamente» silenziosa, agli anglo-americani che «lasciarono fare» in nome della realpolitik, ma anche alla Cgil.
«È innegabile. Quando gli esuli tornarono in Italia vissero un dramma nel dramma. L’accoglienza per loro fu spesso spaventosa, soprattutto in certe zone più ideologizzate, come l’Emilia Romagna. Arrivati a Bologna, ad accoglierli c’erano militanti e simpatizzanti del Pci ma anche del «sindacato rosso», che li definivano "cosiddetti esuli" e li accusavano di fuggire non per evitare di vivere sotto una dittatura comunista ma perché collusi col fascismo».

A dieci anni dall’istituzione del Giorno del Ricordo, il sindaco di Roma, Ignazio Marino, ha cancellato i fondi per i viaggi degli studenti su quei Luoghi della Memoria.
«Io mi vergogno del sindaco Marino. Tagliare completamente i fondi per i Viaggi della Memoria è una scelta di una gravità inaudita. Negli ultimi anni la presenza di studenti interessati e vogliosi di conoscere era in costante aumento. Interrompere questo viaggio di preparazione culturale è un’imperdonabile offesa».

Simone Cristicchi, per aver portato in scena il dramma delle foibe con «Magazzino 18», su cui nel libro ci si sofferma, è stato «assalito» anche da alcuni ragazzi che hanno interrotto il suo spettacolo giudicandolo «revisionista».
«In certi ambienti di radicale militanza politica si vive per dogmi. Non ci si interroga, si vive "contro" ogni cosa. E poi approfondire richiede impegno intellettuale, mentre è molto più semplice scagliarsi contro qualcosa. Non vogliono abbandonare la loro ideologia né riconoscere che questi morti sono morti italiani».

Achille Occhetto, che ha guidato il partito comunista nella sua fase conclusiva, ha «confessato» di non aver mai sentito parlare delle foibe prima dell’89.
«Non credo che Occhetto non sapesse. Probabilmente non aveva compreso col cuore, forse sapeva ma è passato velocemente alla pagina successiva senza comprendere il dramma che gli si stava parando davanti».

Lo stesso Occhetto ha ammesso di essersi commosso assistendo a «Magazzino 18» allo stesso modo in cui si commosse leggendo il diario di Anna Frank.
«L’arte raggiunge il cuore. Possiamo fare mille conferenze e dibattiti, ma i freddi numeri della storia e delle cifre non potranno mai avere lo stesso effetto. L’arte fa commuovere, come fa commuovere Magazzino 18. La storia degli esuli arriverà al cuore dagli italiani quando diventerà spettacolo, romanzo, opera artistica».

Cosa deve cambiare affinché non accada più che migliaia di vittime innocenti vengano dimenticate dalla storia?
«Non bisogna mai stancarsi di raccontare, scompaginare questi lunghi anni di silenzio. Oggi siamo al punto di partenza, non di arrivo. Solo battendosi e lottando, la verità sulle foibe e sugli esuli verrà a galla. Il mio libro è parte di questa battaglia».

domenica 7 febbraio 2016

Tutto questo è Italia


TUTTO QUESTO È ITALIA

Ricordo un popolo che amava la sua terra e che la scelse, nonostante tutto. Nonostante le persecuzioni ad opera dei partigiani titini da una parte e il rifiuto da parte dell’Italia di tutelarlo ed accoglierlo. La scelse con coraggio e amore perché era così follemente giusto e naturale. Scelse di non rinnegare la propria terra riconquistata e difesa, perché l’Istria, la Dalmazia e Fiume erano, sono e continueranno ad essere italiane per cultura, storia e tradizioni.

Quell’Italia che portiamo tutti noi nel cuore e che leggendone la storia ci fa emozionare. Quell’Italia che deve la sua esistenza ai nostri avi, i quali lottarono per difenderne ogni singolo centimetro, anche il più sperduto.

Ecco perché siamo italiani; perché noi apparteniamo all’Italia, tanto quanto l’Italia appartiene a noi, perché siamo uniti imprescindibilmente da un amore smisurato per la sua storia, le sue montagne, i suoi fiumi, le sue cattedrali.

Con il coraggio di Nazario Sauro e seguendo i passi di Gabriele D’Annunzio che, con quella “banda di matti” degli Arditi, lottò per difendere la città di Fiume e il Golfo del Quarnaro e riconsegnarle all’Italia, la continueremo a proteggere con lo stesso spirito dei ragazzi del ’53, scesi nelle vie di Trieste per ribadire che quella era casa loro e che niente e nessuno avrebbe potuto togliergliela, o cambiarne l’identità e i confini.

Noi siamo sempre qui, dalla parte di tutti quei giovani italiani che amano quel tricolore, pronti ad alzare barricate contro chi vorrebbe infangarlo e insultarlo, minandone la sacralità. Non ci fermeranno.

Non ci fermeremo.
Mai!

sabato 6 febbraio 2016

Io non scordo


Sono iniziati stamani, al liceo Cavour, 
i volantinaggi per la giornata del Ricordo.
 
Ricordo migliaia di uomini, donne, anziani e bambini 
lasciati morire nel buio di una foiba.
 
Ricordo studenti, operai e maestri torturati ed uccisi 
dalle milizie jugoslave nel Nord-est d'Italia.
 
Ricordo quegli assassini ancora impuniti, assolti dalle loro accuse 
per aver operato in ambito extra-nazionale.
 
Ricordo i 350 mila esuli di Fiume, Istria e Dalmazia 
costretti ad abbandonare la propria Terra.
 
Ricordo migliaia di persone scomparse nel nulla 
che le nostre scuole fanno finta di dimenticare.
 
Ricordo il silenzio degli editori e di professori faziosi 
affinché le nuove generazioni non sapessero, affinché non imparassero.
 
Il 10 Febbraio di ogni anno, nella Giornata del Ricordo in memoria delle vittime delle foibe e dell'esodo giuliano-dalmata è proprio agli studenti che è dato il compito di non dimenticare mai più e di riattaccare le pagine strappate dal grande libro della storia Nazionale!
 
Oggi ci troverete dalle 16 a Piazza Cola di Rienzo!
 
Noi non scordiamo!

Centro giovani Trastevere sempre chiuso!



ISCRIZIONI APERTE, CENTRO GIOVANI SEMPRE CHIUSO".

Un mese fa chiedevamo alla Presidente del I Municipio Alfonsi, con un occupazione simbolica dell'aula consiliare, la riapertura delle iscrizioni del centro giovani di Trastevere e l'indizione di nuove elezioni che fossero aperte a tutti. Di fronte alle palesi scorrettezze che la sinistra aveva messo in atto, il consiglio municipale accolse le nostre richieste. 
Ma siamo alle solite;
le iscrizioni al Centro Giovani per i ragazzi di Roma sono state riaperte ma lo stabile è sempre chiuso impedendo di fatto a chi non è "amico" della Presidente Alfonsi di iscriversi.
Un luogo che dovrebbe essere il cuore pulsante delle attivita' e dell' aggregazione giovanile, resta chiuso al pubblico e il perché resta sconosciuto.
Il Presidente del municipio e la sua giunta, dimostrano ancora una volta che le uniche politiche che il centrosinistra riconosce sono le occupazioni dei centri sociali e la gestione degli spazi pubblici con logiche clientelari.
Se pensavano che ci saremmo arresi, che non avremmo più posto attenzione alla questione si sbagliavano.
Non ci fermeremo finchè il centro giovani non sara finalmente uno spazio aperto al talento, alla creatività di tutti i giovani della citta e non solo dei giovani di Pd e Sel.

giovedì 4 febbraio 2016

Nessuno scherzi.



NESSUNO SCHERZI.

Estranei ad affittopoli.
Sede è dedicata agli esuli ed è patrimonio della destra italiana.
Nessuno scherzi sugli immobili occupati o concessi a canoni irrisori a partiti o associazioni.
Noi siamo estranei.

I partiti della prima Repubblica Pci - Dc - Psi - Ori - Psdi ed il loro attuale erede, il PD, hanno beneficiato per settant'anni di oltre diecimila locali pubblici ubicati in tutte le città italiane di proprietà di comuni, province, regioni, enti pubblici, per un valore complessivo pari a miliardi di euro.
La cosa clamorosa è che il circuito mediatico, maldestramente orientato dal PD, per nascondere la vergogna di affittopoli, mette all'indice un ex orinatoio collocato tra i ruderi del parco di Colle Oppio che nel 1946 fu ricovero di famiglie istriane, giuliano, dalmate che lì si trovavano per mantenere legami con le proprie radici culturali.

Infatti quel circolo, poi divenuto sede dell' MSI, conserva ancora oggi il titolo di "Istria e Dalmazia".
Un luogo d'incontro, ricreazione, impegno sociale sempre attivo, visitato da famiglie, bambini, anziani e da decine di personalità tra cui ricordiamo l'attuale vicepresidente della Camera Roberto Giachetti, l'ex presidente della provincia di Roma Enrico Gasbarra e l'indimenticato monsignor Luigi Di Liegro.

Noi abbiamo chiesto al Comune in passato che fossero valutate le condizioni d'uso di Colle Oppio, migliorate radicalmente grazie alla manutenzione effettuata nei primi decenni, per rinnovare il contratto, senza avere alcuna risposta.

E restiamo tutt'ora pronti a discutere purchè si considerino i locali per quello che sono stati: un rudere scoperchiato ed inagibile che, senza l'uso di questi decenni sarebbe stato, nella migliore delle ipotesi, un dormitorio per sbandati.
Nessuna relazione di alcun tipo con lo scandalo pluridecennale di affittopoli.

Nessuno scherzi.

lunedì 1 febbraio 2016

Colle Oppio, Tozzi - Mollicone (FDI): "Bene riqualificazione"


Omniroma
COLLE OPPIO, TOZZI-MOLLICONE (FDI): "BENE RIQUALIFICAZIONE"

Roma, 29 GEN

"Come Fdi-An festeggiamo anche noi l'avvenuta riqualificazione del parco del Colle Oppio con i fondi del Giubileo. Si è dato seguito alla pluriennale battaglia della destra di far riqualificare questo gioiello al centro di Roma, teatro di tanti momenti spensierati per i cittadini romani. 
Anche negli incontri con le autorità prefettizie abbiamo sempre sottolineato la necessità di riqualificare e mettere in sicurezza il parco dando seguito alle tante manifestazioni dei comitati cittadini. Sarà ora importante avviare un piano regolatore di manutenzione del parco con le associazioni e le istituzioni del territorio, insieme alla programmazione di attività culturali". 
È quanto dichiarano in una nota congiunta gli esponenti di Fdi-An, Stefano Tozzi capogruppo nel Municipio I e Federico Mollicone responsabile comunicazione. 

red 291523 GEN 16 NNNN