mercoledì 30 gennaio 2013

Il Bloody Sunday dei patrioti che lottavano per essere irish, liberi e cattolici


da barbadillo.it

Quando si arriva a Derry, dopo aver attraversato in corriera il nord dell’isola irlandese, sembra quasi che il tempo si sia fermato in un’epoca trascorsa. Il ricordo ricco di luci della stazione di Belfast, distante poco più di un’ora di cammino, stride con il legno puro e cupo che segna l’arrivo a destinazione. Appena giù dal bus, quando i piedi scricchiolano sulla ghiaia del parcheggio, è inevitabile guardare in alto, per cercare di capire quanto tempo resti prima che la brezza leggera diventi pioggia fitta.
Dopo pochi passi calcati con cura, la piccola piazza della città risplende: seduti al bancone di un bar in perfetto stile anni ’70, gli sguardi si fanno largo tra le vetrate macchiate da stencil pubblicitari d’antan e scrutano il cuore di Derry. L’immaginazione vola: i grandi vicoli della città partono da lì e raccontano, tutti, una storia diversa.
Seguendo la strada che costeggia un piccolo cimitero celtico si scende verso il quartiere cattolico, con le sue case un tempo protette dalle barricate e i murales custoditi con cura per far sì che il ricordo del recente passato non si dissolva troppo in fretta. Il più famoso tra loro, dipinto sull’unico versante in piedi di una vecchia casa diroccata, avverte che “stai entrando nella libera Derry” e tutt’intorno è un richiamare l’attenzione su quella che è stata una tragedia europea, nascosta sotto il tappeto del pensiero dominante dalla cultura anglosassone – con tutti gli altri attori, guardoni, sull’orlo del burrone.
Il 30 gennaio del 1972, quando Derry era la prima città a maggioranza cattolica dell’Irlanda del Nord, cittadini liberi, che sognavano l’unificazione con la gemella coraggiosa del Sud, decisero di manifestare al grido di “one man, one vote”. Di rivoluzionario, in quel corteo della Civil Rights Association, c’era ben poco: la comunità cattolica avrebbe voluto percorrere le strade del suo quartiere per chiedere, a tutti, maggiori diritti e uguaglianza con i cugini protestanti che vivevano, coccolati, dall’altra parte della città. Ma in un Paese che come un boxer di fama mondiale metteva all’angolo la cultura irlandese e cattolica, difendendo i colori dell’Union Jack e le pulsioni protestanti, quelle persone, che cercavano la libertà, trovarono il fuoco dell’esercito britannico.
Un plotone di paracadutisti, inviato lì da sua maestà Londra, rimase colpito dalla straordinaria partecipazione popolare e sparò. Senza motivo, come racconta una commissione d’inchiesta parlamentare che ha finito i suoi lavori quasi quarant’anni dopo la strage. Ventisei furono le persone colpite dai proiettili dell’esercito: tredici nord-irlandesi morirono sul colpo, uno – John Johnston – morì quattro mesi dopo, dilaniato dalle ferite riportate.
Fu il Bloody Sunday: un “massacro”, come alcuni giornali scrissero il giorno successivo, che scatenò un effetto domino dirompente. I troubles incominciarono quel giorno e investirono l’Irlanda del Nord, senza risparmiare Londra e il resto del Regno – mischiando, negli anni, le responsabilità di vittime e carnefici. Parte del popolo irlandese si raccolse attorno all’IRA che sembrava essere, allora, l’unica organizzazione in grado di difendere chi si sentiva straniero in casa propria. Molti di quelli che morirono in quella maledetta domenica di sangue avevano meno di vent’anni, non avevano mai visto un’arma e avevano tanta voglia di sentirsi liberi irlandesi cattolici: rimasero in terra, trafitti dai proiettili, chiedendo giustizia per quaranta anni.
Oggi, con una verità storica accertata, il Bloody Sunday fa ancora paura perché ricorda l’inizio tragico dell’escalation di violenza e dolore che ha trafitto l’Irlanda e – possiamo dirlo – l’Europa. Il germe di questa malattia, però, nonostante gli accordi di pace e le strette di mano tra Elisabetta – che sarebbe anche la loro regina – e gli ex dirigenti dell’IRA, non sembra essere vinto. Basta volgere lo sguardo verso Belfast e riflettere sugli scontri in nome dell’Union Jack per comprendere la complessità di una questione storico-politica che ha ancora tanto da dire.
A Derry il tempo sembra essersi fermato in un’epoca trascorsa perché lì, in quella piccola città d’Irlanda, sanno cosa significhi morire per un’idea di libertà. Dopo aver visto la storia da vicino, hanno tanta voglia di ricordare come, quarantuno anni fa, alcuni di loro sono caduti sull’asfalto e non sono mai più tornati a casa.
A cura di Michele Chicco

sabato 12 gennaio 2013

8 punti, 8 idee chiare.


Le scelte:

• L'Europa va restituita ai suoi popoli con il passaggio dall’Europa economica a quella politica e la conseguente elezione diretta del presidente della Commissione, colmando il deficit di democrazia e popolarità. La condivisione di sovranità ha un senso se accompagnata a questo processo.
• Trasformazione della Banca centrale europea in prestatore di ultima istanza per proteggere l'euro dagli attacchi speculativi, mantenendo la sua indipendenza funzionale e coordinandosi con le altre istituzioni rappresentative.
• Apertura di una fase costituente per modernizzare le istituzioni italiane con una più moderna ed efficiente Costituzione.
• Passaggio non più rimandabile a una Repubblica presidenziale, con elezione diretta del Presidente della Repubblica e rafforzamento dei poteri dell'esecutivo. 
• Eliminazione del “bicameralismo perfetto”: una sola camera legislativa e un Senato delle regioni e delle autonomie locali.
• Dimezzamento del numero di parlamentari.
• Equiparazione in Costituzione dell'elettorato attivo e passivo per le elezioni di Camera e Senato, eliminazione di ogni altro vincolo di età per ricoprire incarichi istituzionali, a partire da quello di Presidente della Repubblica.



Le scelte:
• Incandidabilità a vita per chi è stato condannato in via definitiva per reati contro la pubblica amministrazione. Nel nostro partito, nessuna ricandidatura anche per chi avesse tenuto comportamenti inopportuni e comunque in contrasto con i suoi principi di correttezza e trasparenza.

• Equiparazione dei partiti politici agli enti pubblici con obbligo di bilancio, rendicontazione, pubblicità, limiti e modalità di spesa. A chi non ottempera le prescrizioni di bilancio e non garantisce il rispetto del proprio Statuto diminuisce il finanziamento pubblico gradualmente, fino alla sua eliminazione.

• Introduzione in Costituzione del principio di equità tra le generazioni e valutazione d’impatto generazionale per le leggi in via di approvazione, principio utile a stabilire che una generazione non può vivere al di sopra delle proprie possibilità a scapito di quelle successive, come avvenuto negli ultimi decenni.

• Rimozione delle progressioni di carriera per anzianità nella pubblica amministrazione, introducendo valutazioni obiettive di merito e indipendenti per stabilire livelli di responsabilità e relativi stipendi. La carta d’identità non può più bastare.


Le scelte:
• Introduzione di rigorosi criteri di merito per l’accesso alle cariche amministrative, ancor più stringenti man mano che sale il livello di responsabilità nei confronti dello Stato. Creazione di una nuova Scuola di Pubblica Amministrazione, fatta di eccellenze e integrata con i parametri europei.
 

• Applicazione del tetto ai compensi pubblici.
 

• Revoca delle pensioni d’oro, retaggio della prima Repubblica, pagate con i soldi pubblici. Non ci possono essere più privilegi che resistono nella rivoluzione sociale in atto. Oltre una determinata soglia devono essere calcolate col metodo contributivo.
 

• Revoca dei vitalizi d'oro, maturati dopo pochi anni di servizio e cumulabili gli uni agli altri senza alcun limite né criterio. Siano calcolati tutti con il metodo contributivo.
 

• Stop ai bonus in busta paga ottenuti per anzianità e non per merito.
 

• Abolizione degli sprechi proliferati negli anni e non più sostenibili: sedi di rappresentanza degli enti locali fuori dai propri confini, auto blu per tutto il comparto pubblico, a cominciare da politici, dirigenti e funzionari, spese di rappresentanza fuori misura, sovrapposizione di attività tra enti pubblici.


                                                                            Le scelte:
• Ridurre lo stock del debito:
Alienazione di parte del patrimonio immobiliare pubblico e valorizzazione delle concessioni di Stato.
Vendita delle società reputate non “strategiche” partecipate dal Tesoro, dalle Regioni e dagli enti locali. 
Stipula immediata di un accordo con la Svizzera, come fatto da Germania, Austria e Regno Unito, per tassare i capitali nascosti dagli evasori italiani nei forzieri delle banche elvetiche.

• Ridurre la spesa pubblica:
Riduzione della spesa pubblica, tagliando gli sprechi e le inefficienze.
Lo Stato torni a svolgere il ruolo che gli è proprio, arretrando rispetto a un protagonismo eccessivo sul mercato di beni e servizi. Oggi si contano 4942 organismi partecipati dagli enti locali, ai quali vanno aggiunti quelli partecipati da Regioni e Stato centrale. Si tratta di enti, aziende e società che agiscono nei settori più disparati (meno del 60% di questi si occupa di “servizi pubblici locali”) e che registrano ogni anno diversi miliardi di perdite. La macchina pubblica deve continuare a svolgere poche cose, quelle che le riescono bene, e a un giusto costo per la collettività, senza abbandonare le sue funzioni vitali: sanità, giustizia, istruzione, sicurezza, difesa, servizi essenziali e strategici. Tutto il resto deve essere lasciato alla libera concorrenza.

• Interventi sulle entrate dello Stato:
Lotta all’evasione fiscale. L'imposta annua evasa in Italia è stimata tra 120 e 180 miliardi. La metà deriva dall'economia criminale, altre voci consistenti sono l'evasione delle Big Company e il lavoro sommerso. Una parte contenuta deriva dall'evasione delle Pmi e un’altra residuale dai lavoratori autonomi. Sulla base di questi dati, l’azione di contrasto all'evasione deve concentrarsi su attività criminali, Big Company e banche che compongono oltre i 2/3 dell'evasione totale. Inaccettabile che il fisco abbia mosso contestazioni alle banche italiane per una somma intorno ai 5 miliardi per imposte non pagate e sanzioni, recuperando solo 1 miliardo, o che la Corte dei Conti abbia contestato alle società di gioco d'azzardo 98 miliardi e lo Stato spera di recuperarne appena 2,5.
Introduzione, nei settori a forte sospetto evasione, del “contrasto d’interessi” tra chi fornisce un bene o servizio e chi l’acquista con il sistema della detraibilità del titolo fiscale, come già avviene nelle ristrutturazioni edilizie e secondo le consuetudini di diverse democrazie occidentali.
Pieno utilizzo dei fondi comunitari. Nella programmazione 2007-2013 siamo ad oggi a meno del 30% di utilizzo delle risorse disponibili (37,9 miliardi), con addirittura 27 miliardi ancora da spendere. Il rischio è di perdere queste risorse e doverle restituire all’UE, o di utilizzarle, come fatto spesso in passato, grazie a una corsa contro il tempo a discapito della qualità delle iniziative realizzate. Si deve abbattere la farraginosità delle procedure attuative promuovendo azioni di sistema su grandi aree geografiche, introdurre sistemi automatici di sussidiarietà dello Stato centrale per le Regioni in ritardo con l’utilizzo dei fondi di propria pertinenza. Obiettivo zero sprechi.
Risvegliare il più grande contribuente d'Italia: la crescita economica. Quando la ricchezza di una nazione si contrae, diminuisce la base imponibile sulla quale lo Stato può contare per le proprie entrate. Grazie alla crescita economica, al contrario, aumenta il gettito dello Stato, anche mantenendo inalterato il livello di tassazione o addirittura riducendolo.


                                                                          Le scelte:
• Riduzione della pressione fiscale, che oggi è ufficialmente del 45,3% ma in termini reali arriva al 54%, triste primato mondiale. Per questo può essere un utile segnale introdurre in Costituzione un tetto alla tassazione al 40% nel rapporto tra entrate tributarie e Prodotto interno lordo.
 
• Rispetto dello statuto dei contribuenti. Approvato nel 2000, avrebbe dovuto difendere il cittadino per non farne un suddito ma, solo nel 2010 la fondazione dei commercialisti contava più di 400 violazioni. Le regole sono state violate con valanghe di norme fiscali che hanno avuto effetti nello stesso periodo d’imposta o addirittura retroattivi. Lo Stato e le sue agenzie siano i primi a rispettare le proprie leggi.
 
• Abrogazione dell’imposta sulla prima casa. Trasferimento del gettito integrale dell’IMU sulla seconda casa ai comuni, così come era previsto nella riforma federalista interrotta dal Governo Monti. Aumento della tassazione sulla restante rendita improduttiva (fondi speculativi, beni immobili non locati, etc). L’IMU sulla prima casa vale circa 3,4 MLD, vale a dire appena lo 0,4% della spesa pubblica, importo recuperabile riducendo sprechi e inefficienze.
 
• Rivedere il patto di stabilità per i piccoli Comuni, differenziando il trattamento della spesa corrente dalla spesa in investimenti.
 
• Semplificazione e facilitazione della contribuzione. Nel 2011 sono state contate 1869 leggi fiscali parzialmente o interamente in vigore e 1086 modifiche introdotte al Testo unico delle imposte dal 1988.
 
• Piena attuazione del federalismo fiscale secondo il principio “voto, vedo, pago”. Ovvero più la cassa è prossima al controllo diretto dei cittadini (municipi), più facile sarà evitare un cattivo uso dei proventi dalla tassazione. Superare il principio della spesa storica accelerando il passaggio al meccanismo dei costi standard.
 
• Regole semplici per ridurre il carico di norme e adempimenti burocratici per le imprese che pesano sulle aziende italiane per 23 miliardi l’anno pari ad un punto e mezzo di PIL.
 
• Dare concretezza alla soluzione dell’annoso problema degli oltre 60 miliardi di crediti vantati dalle imprese nei confronti della P. A. per lavori già svolti, servizi già resi, forniture già effettuate.
 
• Ripresa degli investimenti e delle infrastrutture. La riduzione della spesa deve essere concentrata nella spesa improduttiva, ma non deve precludere la possibilità di realizzare le opere necessarie per migliorare il contesto in cui agiscono le imprese e vivono i cittadini.
 
• Riprendere ed accelerare il cammino verso una politica europea finalizzata alla crescita: eurobond, project bond e, insieme, l’esclusione degli investimenti infrastrutturali dal computo del deficit rilevante ai fini del rispetto degli obiettivi del fiscal compact.


Nel panorama descritto, reso ancor più complesso dal protrarsi della crisi internazionale, l’Italia è sin qui riuscita a mantenere un sistema competitivo grazie alla particolare morfologia della propria struttura economica: la presenza di un sistema parcellizzato di piccole e piccolissime imprese ha consentito – nella lunga stagione dello sviluppo economico - una grande flessibilità alle condizioni del mercato, oltre che aver costituito il naturale ambito di sviluppo della fantasia e della creatività produttiva delle nostre imprese. Ma la ridotta dimensione, in tempo di crisi e di globalizzazione dei cicli produttivi e commerciali, paga il dazio alla minor capacità di attingere alle risorse finanziarie necessarie per mantenere la competitività e investire su innovazione e nuove tecnologie.

Si deve riconoscere che l’operazione “scudo fiscale”, ovvero l’opportunità offerta per far rientrare capitali indebitamente trasferiti all’estero pagando una tassa agevolata, non ha sortito in questo senso gli effetti auspicati: a fronte di oltre 100 miliardi di Euro regolarizzati, meno di 5 sono stati reinvestiti nelle aziende di proprietà di chi ha riportato i capitali in Italia.

La successiva scelta del governo tecnico di rinegoziare il tasso di imposizione con effetto retroattivo, non ha prodotto il gettito atteso e ha invece gravemente nuociuto alla credibilità di uno Stato che prima negozia delle condizioni con i suoi contribuenti e poi le cambia unilateralmente, dopo che i cittadini hanno deciso di dar credito alla proposta transattiva. 

Molta parte delle inefficienze della struttura pubblica, dei servizi connessi, dei controlli necessari e del grado di intermediazione tra il cittadino e la Pubblica Amministrazione, è stata sin qui compensata da una vasta e qualificata rete di professionisti, che hanno sopperito alle inefficienze se non alla incapacità ad agire dello Stato. Medici e farmacisti nell’ambito dell’offerta del servizio socio-sanitario; notai e avvocati nelle transazioni, certificazioni e compito di esazione anticipata e diretta, come nella semplificazione e gestione di parte della giustizia civile e del contenzioso minore; commercialisti per il controllo, la certificazione e l’intermediazione telematica, oltre che per i compiti di ausilio alle verifiche delle Autorità vigilanti; ingegneri, architetti e geometri per il compito di controllo, governo e verifica di compatibilità nell’uso e sviluppo del territorio. Hanno tutti svolto un ruolo insostituibile di supporto alle esigenze dello Stato.


 Le scelte:
• Vigilanza degli Stati e delle istituzioni europee sul rispetto dei patti: è dovere dell’Europa e dell’Italia sincerarsi che i miliardi di euro di prestiti erogati alle banche per ridare liquidità al sistema arrivino alle famiglie e alle imprese, senza fermarsi nelle casse degli istituti di credito che, al contrario, chiudono i rubinetti. E’ altresì necessario che le Istituzioni europee definiscano un disciplinare con le corrette modalità di utilizzo delle risorse comunitarie stanziate a supporto della crescita economica e approntino un credibile sistema sanzionatorio a carico di chi non si attiene alle disposizioni.
• Varo di una legge che separi le banche d’investimento da quelle commerciali, dividendo le attività bancarie ordinarie da quelle speculative. Divieto di speculazioni finanziarie e operazioni ad alto rischio con i soldi dei correntisti, dei piccoli risparmiatori, delle imprese e delle famiglie. In un momento di crisi come quello attuale non ci devono essere margini per l’azzardo sulle risorse dei più deboli.
• Valorizzazione dei Confidi patrimonializzandone adeguatamente i relativi fondi di garanzia e riconoscendo agli stessi il ruolo essenziale di sostegno al sistema imprenditoriale.
• Patto Stato-Regioni per utilizzare i piani operativi regionali del Fondo sociale europeo in tutte le Regioni per progetti di microcredito, a sostegno delle piccole imprese e dei lavoratori autonomi che hanno difficoltà di accesso al credito bancario.
• Introduzione di un tetto massimo ai compensi dei manager e di vincoli alla distribuzione dei dividendi per gli istituti di credito che si avvalgono del fondo di garanzia per le banche italiane introdotto nel ‘Salva Italia’.


La crescita economica è la condizione necessaria per ridurre la disoccupazione. Quando le aziende chiudono, non c'è forma del mercato del lavoro che possa tutelare l'occupazione.

Per decenni si è trattato il tema del lavoro quasi fosse indipendente dalle dinamiche economiche e dalla globalizzazione. Il mancato adeguamento del mercato del lavoro alle nuove esigenze dell’economia mondiale ha fatto si che fosse reputato tollerabile piegare i contratti atipici, nati per esigenze di altro tipo, alle esigenze di flessibilità del sistema economico. Gli “atipici” sono così diventati lavoratori di serie B, sprovvisti delle garanzie dei lavoratori “classici”, ma indispensabili alla tenuta della nostra economia. Con questo trucco il sistema ha continuato a funzionare, almeno in apparenza, finché la crisi economica non ne ha messo a nudo tutti i limiti.

La grande sfida che ci attende è eliminare le differenze di trattamento che esistono tra lavoratori, per far in modo che le esigenze di flessibilità richieste dall'economia, siano equamente suddivise tra tutti. E’ tempo che il nostro popolo riscopra la solidarietà che gli è propria e torni ad agire come una vera comunità nazionale che protegge e tutela tutti i cittadini, senza ingiustificate differenziazioni. 

L'altra grande sfida è riuscire a correggere il disallineamento esistente tra domanda e offerta, tra percorso formativo intrapreso da molti giovani e reali conoscenze richieste dalle aziende.