L'amore per il territorio e per il Rione Esquilino si manifesta anche con la conservazione della memoria. La sezione del MSI di Colle Oppio si chiamava Istria e Dalmazia proprio perchè i maggiori frequentatori erano i profughi giuliano-dalmati che vivevano all'Esquilino nelle caserme di Santa Croce e nelle zone limitrofe Colle Oppio. Abbiamo restituito un pezzo di storia che si stava dimenticando nel Rione, una storia di italiani due volte, per nascita e per convinzione che furono accolti fraternamente a Roma a differenza dell'accoglienza che i comunisti a Bologna gli riservarono. La domenica pomeriggio nella sezione c'era una piccola balera dove si ballava ed i maggiori frequentatori erano giuliano-dalmati. Gli anni del dopoguerra, gli anni delle manifestazioni per Trieste italiana, gli anni che videro protagonista la destra sono un patrimonio del rione. Ieri abbiamo salutato quei profughi con deferente rispetto e con convinto orgoglio. La maestra fiumana che ha vissuto nelle caserme di Santa Croce per 3 anni alla cerimonia ha dichiarato: " abbiamo tanto sofferto, c'erano pochi soldi ma la dignità non ci è mai mancata e ce l'abbiamo fatta!". Evviva
giovedì 23 maggio 2013
martedì 21 maggio 2013
Parlano i numeri, contano i fatti: la giunta Alemanno ha rilanciato Roma (nonostante la crisi)
da secoloditalia.it
«L’operazione verità» sui suoi cinque anni alla guida dell’amministrazione comunale capitolina fa chiarezza. Gianni Alemanno, in un opuscolo, ricorda cosa ha fatto la giunta in cifre, in fatti concreti. I risultati sono molto positivi, considerando che in questi cinque anni il Pil italiano è diminuito del 6 per cento e i trasferimenti dallo Stato ai comuni del 40 per cento. Questo significa che Roma ha avuto un taglio di ben 1450 milioni di euro rispetto alla giunta precedente di centrosinistra. Nonostante questo grave handicap, la giunta Alemanno ha investito nel settore trasporti 332 milioni e in quello relativo al sociale 375 milioni, ossia il 70 per cento in più rispetto alla precedente amministrazione. Dall’altra parte, ricorda un documento dell’amministrazione, sono state tagliate drasticamente una serie di spese, tra cui quelle di rappresentanza, quelle per il personale, quelle per le missioni, del 93 per cento, e quelle per le consulenze, del 91 per cento. Uno dei fiori all’occhiello dell’amministrazione di centrodestra è sicuramente il risultato esercizio dell’Ama, che è passata dal passivo di 257 milioni di euro della giunta Veltroni a un attivo di 2,3 milioni di euro, con una differenza quindi di ben 259 milioni, che è un risultato estremamente significativo, soprattutto in tempi di crisi congiunturale. Anche sul fronte, oggi di moda, dei tagli ai costi della politica, la squadra di Alemanno ha agito in tempi non sospetti, risparmiando all’incirca 460 milioni di euro su auto blu, fondi dei gruppi consiliari, spese dipartimenti e altro. Laddove si poteva risparmiare mediante razionalizzazioni o tagli, lo si è fatto. Sempre in questo stesso settore, la riforma voluta dal centrodestra comunale vedrà passare il numero dei consiglieri da 60 a 48 e dei municipi da 19 a 15, con una diminuzione quindi dei consiglieri municipali di ben 100 unità (da 475 a 375). Ma si sarebbe potuto fare di più, sostengono i componenti della maggioranza capitolina, se l’opposizione non avesse sistematicamente messo in atto un ostruzionismo deleterio, controproducente, pretestuoso, che ha danneggiato più i cittadini che la maggioranza. Grazie all’ottusità faziosa delle sinistra, sono stati bloccati 4,7 miliardi di investimenti totali, tra cui si segnala un miliardo di euro per opere pubbliche bloccate in aula e 60mila posti di lavoro vanificati dalle opposizioni. A questo si aggiungono le varie decisioni del Tar che hanno bloccato importanti e urgenti ordinanze comunali, come ad esempio quelle relative agli sgomberi dei campi nomadi o quella relativa alla messa in sicurezza della falda acquifera di Malagrotta. Sempre rispetto al centrosinistra, va detto chiaramente che i metri cubi deliberati da Alemanno rispetto a Veltroni sono stati oltre l’85 per cento in meno, mentre gli investimenti in opere pubbliche hanno toccato la cifra dei 713 milioni di euro. Ma oltre a questi ottimi risultati, è sulla sicurezza che il centrodestra ha in particolare mantenuto tutte le promesse, malgrado le diffamatorie campagne stampa che dipingevano falsamente Roma come una città violenta: tutte queste menzogne sono smentite dai dati statistici. I reati sono diminuiti del 14 cento, pari a oltre 26mila reati in meno. Omicidi diminuiti, tentati omicidi diminuiti, rapine diminuite. Aumentate invece le espulsioni, gli allontanamenti di extracomunitari. Dimezzato il numero dei campi nomadi presenti sul territorio comunale con relativa diminuzione di presenze nei campi stessi. La raccolta differenziata è passata dal 17 per cento delle sinistre all’attuale 30, mentre oltre duemila discariche abusive sono state bonificate. Anche il comparto turismo ha subito un grande incremento, di circa il 20 per cento, record assoluto dal dopoguerra a oggi. Diamo uno sguardo al settore scuola: Alemanno ha realizzato il dieci per cento di asili comunali in più rispetto a Veltroni, l’87 per cento in più di asili in convenzione o in concessione, pari al 33 per cento di posti in più negli asili nido, senza contare quel 5,7 per cento in più di scuole dell’infanzia. Sempre nel sociale, le persone assistite dai servizi sociali in modo stabile sono passate dai 30mila della sinistra agli oltre 42mila del centrodestra, pari a quasi il 50 per cento in più. Infine sono stati stabilizzati oltre duemila precari e altrettanti vincitori di vecchi concorsi sono stati assunti. E a proposito di concorsi, Alemanno ne ha indetti 1995, a fronte dei 521 di Veltroni. Ben 90mila famiglie sono state esentate dalla tariffa rifiuti e 376 mila esentate dall’Imu prima casa, ossia oltre un terzo delle prime case. Dulcis in fundo, dal 1° luglio di quest’anno Roma uscirà da Equitalia.
Ius soli, Kyenge fa retromarcia: “Non è il momento”. E a Roma Fratelli d’Italia manifesta: no alla cittadinanza facile
da secoloditalia.it
Marcia indietro del ministro dell’integrazione Cecile Kyenge sulla cittadinanza ai figli degli immigrati. La Kyenge si trovava in visita al salone del libro di Torino ma alle domande dei giornalisti sul tema a lei molto caro ha risposto facendo capire che non insisterà più perché l’argomento venga messo urgentemente nell’agenda del premier Letta: “Non è il momento di parlarne”. Lo ius soli per ora viene accantonato, o comunque relegato tra gli auspici umanitari e non politici. “Il premier Letta – ha detto ancora Kyenge – ha presentato le priorità del governo. Ci sono dei punti che possono appartenere a tutti, all’intera società. Questo tema – ha ribadito – appartiene ala società civile più che al governo”. ”L’integrazione – ha puntualizzato infine il ministro – è un tema trasversale che riguarda tutti, non ha colore politico. Ha una storia umana e noi dobbiamo guardare a questa storia e riportare la persona al centro di ogni progetto politico e di vita”. Sullo ius soli in effetti si era già prefigurato all’orizzonte uno scontro politico difficile da gestire in nome delle larghe intese con il centrodestra contrario e la sinistra che premeva sull’acceleratore della riforma della cittadinanza. Il caso Kabobo a Milano, pur se indubbiamente scollegato da questo dibattito, ha rimesso tutto in discussione, alimentando – al di là di strumentalizzazioni illecite – la diffidenza dell’opinione pubblica verso l’immigrazione clandestina. Cecile Kyenge ha capito che, appunto, oggi dello ius soli è meglio non parlarne. Domani si vedrà. Più che una rinuncia, una saggia presa d’atto delle circostanze.
E sul tema c’è da registrare oggi a Roma un flash mob di Fratelli d’Italia, con la partecipazione di Giorgia Meloni e Marco Marsilio, contro la cittadinanza “facile” a tutti i figli degli immigrati. L’iniziativa si è svolta a piazza di Spagna dove è stato esposto uno striscione con la scritta: “Italiani non per caso, italiani per amore”. Secondo Fratelli d’Italia “la cittadinanza italiana dev’essere una scelta e chi nasce da immigrati stranieri regolari deve poter scegliere entro i 18 anni manon si può pensare di concedere automaticamente la cittadinanza a tutti i figli di partorienti straniere che ci sono in Italia”. Qualche giorno fa il deputato di FdI Fabio Rampelli si era rivolto durante un question time alla ministra Kyenge, sostenendo che “il conferimento della cittadinanza italiana non deve essere considerato uno strumento d’integrazione culturale ma, a integrazione avvenuta, un modo per esercitare diritti politici, civili e sociali. Ogni sovrapposizione genera pasticci e confusione”.
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domenica 12 maggio 2013
Via Statilia finalmente è parco!
Dopo 20 anni grazie al nostro impegno viene riqualificata l'intera area che comprende l'acquedotto romano di Via Statilia e viene realizzato un parco funzionale ai cittadini con panchine e passeggiata lungo gli archi e con esso la cancellata di protezione nelle ore notturne.
Un progetto fortemente voluto da tutti noi e condiviso con i cittadini ed i residenti del Rione.
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Fratelli d’Italia “on the road” a Roma per rilanciare i temi-chiave: si parte al grido “liberate i marò”
da secoloditalia.it
Una “Staffetta per l’Italia”, una manifestazione a tappe, itinerante, che si snoda per le vie della Capitale. Efficace e originale la formula scelta da Fratelli d’Italia per ricordare e rilanciare le sue proposte sui nodi cruciali che la politica è chiamata a sciogliere. Non è un semplice corteo, né un presidio statico ma una iniziativa “on the road” che si sviluppa in un percorso che tocca alcuni luoghi simbolo di Roma, fra tutti, il ministero dell’Economia, la sede della Banca d’Italia, l’Ambasciata indiana, il Quirinale. Pronti, partenza, via: lo “start” viene dato da piazza Indipendenza, il corteo guidato dai tre fondatori Giorgia Meloni, Guido Crosetto e Ignazio La Russa è partito al grido di “liberate i marò”. Prima tappa, il ministero dell’Economia, il luogo più “caldo” da cui FdI vuole ribadire le sue priorità: l’introduzione in Costituzione di un tetto alla tassazione al 40% nel rapporto tra entrate tributarie e Pil; l’abolizione dell’Imu e la restituzione ai cittadini di quella già pagata, attraverso l’emissione di titoli di Stato da rimborsare con gli interessi che il Mps deve restituire allo Stato; l’impignorabilità della prima casa. Spiega Giorgia Meloni, capogruppo di FdI alla Camera: «Non abbiamo votato la fiducia al governo Letta, ma abbiamo detto che voteremo i provvedimenti che porterà quando dovessero essere provvedimenti giusti. E chiediamo di valutare le proposte che Fratelli d’Italia ha da fare per il futuro dell’Italia con la stessa assenza di pregiudizio». Oltre a quelle citate, alla Meloni e a FdI stanno a cuore in particolare «le iniziative a sostegno di maternità e natalità. E poi le riforme costituzionali, una legge elettorale che venga fatta nell’interesse dei cittadini che votano e non dei partiti che la scrivono. Porteremo queste proposte in Parlamento come le abbiamo portate oggi in piazza», promette il capogruppo. Il corteo “on the road” prosegue nelle vie della città. Secondo gli organizzatori sono oltre oltre 5000 i romani e non solo – pullman sono giunti da Arezzo, da Rieti e da tutto il Lazio – che hanno dedicato il loro sabato a molte buone cause. “Gnomi e giganti in corteo”, twittano Crosetto e Meloni, “il Gigante e la Bambina”. “Roma invasa dai Fratelli d’Italia”, twitta Fabio Rampelli. Si arriva in via XX Settembre, all’ambasciata indiana, per ribadire ancora una volta che riportare a casa Latorre e Girone costituisce una priorità per l’Italia e per la sua credibilità internazionale. «Ci aspettiamo dunque che Letta e il suo esecutivo dimostrino un briciolo di dignità in più rispetto a chi li ha preceduti e abbiano una reale volontà di tutelare i nostri marò», rilancia la Meloni. Precisa La Russa: «Pensiamo che quello che ancora manca è trasformare questa vicenda in una questione di dignità nazionale: finché non succederà questo, non risolveremo la questione». La marcia prosegue per poi concludersi a piazza San Silvestro.
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È morto Ottavio Missoni. Signore della moda, soldato nella vita, memoria storica della pulizia etnica di Tito...
di Gloria Sabatini
Un signore, elegante fino all’ultimo, gli occhi azzurri rimpiccioliti dalle rughe portate con disinvoltura, l’immancabile gilet a righe “di famiglia”. A 92 anni è morto questa mattina Ottavio Missoni, nella sua casa in provincia di Varese. Dalla prima maglieria a status simbol della moda italiana, come lo definì la stampa americana negli anni ’70.
All’apice dell’influenza internazionale di Missoni il Chicago Tribune parlò di «maglia sensazionale in Italia. Colori che sono una rivelazione di bellezza naturale». Scompare l’ultimo patriarca di una grande generazione di stilisti, la cui maison ancora oggi è in grado di dettare e tendenze del fashion internazionale. Nato nel 1921 a Ragusa, Ottavio è cresciuto a Zara fino a sette. «La città non esiste più, non c’è più nulla», ricorda nella sua ultima intervista, distrutta per l’80 per cento dai bombardamenti, resta solo nel suo cuore di esule, nel ricordo dei concittadini infoibati per ordine del maresciallo Tito.
Partecipò alla battaglia di El Alamein, dopo quattro anni vissuti in un campo di prigionia americano in Egitto, nel 1946 torna in Italia, a Trieste, dove si iscrive al Liceo Oberdan. Una vita fatta di sfide, di dolori e di successo, anche se lui, schivo, non usa mai la parola sfida, «ho fatto soltanto scelte di vita». Dai 16 ai 32 anni è stato più volte campione di atletica, nei 400 metri piani e a ostacoli: ha vestito 23 volte la maglia azzurra, ha conquistato 8 titoli italiani, l’oro ai mondiali studenteschi nel 1939. Quando riprese le competizioni, arrivò sesto alle Olimpiadi del 1948 e quarto agli europei del 1950.
Fu ai giochi olimpici che conobbe sua moglie Rosita, con la quale lavorò gomito a gomito costruendo lo stabilimento e la casa di Sumirago, dove ancora adesso la famiglia vive e lavora, perché i Missoni si considerano artigiani (lei pensava ai modelli, lui ai tessuti). La Dalmazia, i suoi colori, i suoi sapori rivivono nelle sfumature e nei tocchi delle sue creazioni («certo se fossi in Finlandia, avrei creato un’altra moda). Dell’esodo giuliano-dalmata, un tabù per decenni e solo negli ultimi anni entrato ufficialmente nei testi di storia, ha sempre parlato come di «un’ autentica pulizia etnica».
Fu combattente nella Seconda guerra mondiale e venne nominato Commendatore della Repubblica nel 1986. A guidare l’azienda oggi restano i figli Angela e Luca perché Vittorio non c’è più. È scomparso dallo scorso gennaio durante un viaggio ai Caraibi al largo delle isole venezuelane di Los Roques su una rotta maledetta. La vita ha “riservato” a Ottaviano anche lo strazio contro natura di sopravvivere al figlio.
martedì 7 maggio 2013
lunedì 6 maggio 2013
a Bobby Sands
di Serena Mangino
C’era una volta un’allodola che era stata rinchiusa da un uomo in una piccola gabbia, e soffrendo per la perdita della sua libertà non cantava più a squarciagola. L’uomo che aveva compiuto tale atrocità, esigeva che l’allodola facesse ciò che lui desiderava: cantare più forte che poteva, obbedire alla sua volontà, cambiare la sua natura per soddisfare il suo piacere. L’allodola si rifiutò. L’uomo allora si arrabbiò e diventò violento, prima cominciò a far pressioni su di essa affinchè cantasse, poi non ottenendo alcun risultato, ricorse a mezzi più drastici: coprì la gabbia con un telo nero, privando l’uccello della luce del sole. Le fece patire la fame e la lasciò marcire in unasporca gabbia, eppure lei si rifiutò ancora di obbedirgli. Alla fine l’uomo la uccise. Ma l’allodola possedeva uno spirito, lo spirito di libertà e di resistenza, desiderava ardentemente essere libera e morì prima di essere costretta ad adeguarsi alla volontà del tiranno che aveva cercato di cambiarla con la tortura e la segregazione.
C’era una volta un giovane cattolico irlandese, Bobby Sands, che aveva qualcosa in comune con quell’uccello, con la sua tortura, prigionia e morte. Era solo un ragazzo quando, come l’allodola, decise di lottare a costo della vita, contro l’”uomo” malvagio che stava torturando la sua Irlanda: l’invasore inglese.
Nato a Rathcoole nel 1954, quartiere a nord di Belfast, nell’Ulster, Bobby è cresciuto vivendo in una città presidiata dall’esercito britannico, dilaniata dal conflitto tra cattolici e protestanti. Una vita normale la sua finchè, fu costretto, a soli 10 anni insieme alla sua famiglia, a lasciare la loro casa di Abbots Cross a causa della loro fede cattolica.Era solo l’inizo, da li in poi la vita di quel tranquillo ragazzo di Belfast cominciò a cambiare. Furono anni, i ’60 e ’70, che videro la nascita di un vero e proprio ‘apartheid’ verso i cattolici ad opera dei Brits, una tragedia troppo a lungo ignorata da un’Europa sempre più distratta. Il trasferimento coatto, la repressione, la violenza nelle strade da parte dei soldati inglesi, le minacce ed intimidazioni anche sul posto di lavoro, lo fecero diventare un soldato repubblicano dell’I.R.A., l’Irish Republican Army.
“A 18 anni e mezzo entrai a far parte dei Provos e andai ad affrontare la potenza di un impero”. In nome della sua causa indipendentista, e per aver affidato il suo cuore a quella maledetta guerra, Bobby conobbe subito l’incubo del carcere, venne arrestato e rinchiuso in una cella di Long Kesh.
“Hanno rinchiuso il mio corpo, ma non le mie parole e nemmeno la speranza del futuro, hanno rinchiuso solo un Bobby Sands, ma altri ce ne sono in Irlanda”. Tra botte, torture, minacce e violenze divenne il leader dei famosi H-Blocks di Long Kesh, dove riuscì a tener accesa la fiamma della ribellione anche dei suoi compagni di lotta e dove trascorse gli ultimi 4 anni e mezzo prima di lasciarsi morire di fame, una fame di libertà e giustizia.Anni bui e freddi trascorsi nei lager che Bobby racconta nel suo diario, scritto di nascosto su carta igienica e fatto uscireclandestinamente dalla prigione, dove l’unico fascio di luce che lo riscaldava era la voglia di libertà per se e per il popolo irlandese.
Al quarantesimo giorno di sciopero della fame, Bobby riuscì anche a farsi eleggere deputato del Parlamento di Westminster. Fu il primo deputato nella storia ad essere eletto mentre scontava una pena, pur essendo innocente, e mentre si stava lasciando morire. Infatti smise di lottare a causa della malattia dovuta all’inedia, che dopo 60 giorni di sciopero della fame, lo portò alla morte il 5 maggio 1981. Avevano distrutto il suo corpo, ma non erano riusciti ad uccidere il suo spirito, che continuava a vivere in chi ogni giorno proseguiva la lotta per la libertà e l’autodeterminazione dell’Irlanda.
“Se non riescono a distruggere il desiderio di libertà non possono stroncarti. Non mi stroncheranno perchè il desiderio di libertà e la libertà del popolo irlandese sono nel mio cuore. Verrà il giorno in cui tutto il popolo irlandese avrà il desiderio di libertà. Sarà allora che vedremo sorgere la luna.” Ta Bobby bàs: Bobby è morto, ed è morto sognando il giorno in cui il popolo irlandese avrebbe visto sorgere la luna, è morto perchè altri potessero vivere meglio, ed è morto come un figlio dell’Europa,rimasto senza voce.“Mio fratello non è morto per vedere la nostra gente restare sotto l’occupazione inglese per sempre”, sono le tristi parole della sorella Marcella, secondo la quale Bobby piangerebbe se sapesse che la bandiera britannica sventola ancora oggi nell’Ulster.
A pochi giorni dalla morte scrisse nel suo diario: “Ho scelto di morire per poter sopravvivere, ma non ho niente di cui pentirmi. Ho scelto di percorrere la strada più tortuosa che porta a Dio…e se qualcuno sentisse parlare di un tale Bobby Sands, ricordi che è solo uno dei tanti che ha lottato per la sua terra, la sua gente, il suo Dio in quell’inferno chiamato Nord, Nord Irlanda”.
Una cosa è certa, Bobby ora è libero, è nel cielo d’ Irlanda e dorme tra le stelle!
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