L’acquisizione di Pirelli e di altre grandi aziende da parte di cinesi,
indiani, ecc., non sono mere operazioni di mercato ma rientrano nelle
strategie nazionali e militari di questi Stati. Il loro obiettivo,
infatti, è comprare le società per impadronirsi della tecnologia, dei
brevetti e del know how, per poi successivamente abbandonarle. Un tempo
queste cose si facevano tramite azioni di spionaggio, ora si fanno con
operazioni finanziarie. Uno Stato sovrano non lo consente, i nostri
Governi fantoccio sì.
Giorgia Meloni
da corriere.it
La scelta di China National Chemical Corporation «era la migliore per la
Pirelli». Marco Tronchetti Provera lo aveva capito tre anni fa, quando
ha incontrato per la prima volta Ren Jianxin, e adesso che è stata
avviata la svolta, con la firma degli accordi che sanciscono l’alleanza,
è soddisfatto per essere riuscito ad assicurare il futuro del gruppo
milanese imbarcando un socio con le spalle larghe e un accesso
privilegiato a un mercato sterminato. «Cuore e testa resteranno in
Italia» assicura Tronchetti, al quale il nuovo socio cinese ha chiesto
di rimanere alla guida per altri cinque anni insieme all’attuale
management. «ChemChina - racconta - si è dimostrata molto aperta nel
considerare un valore il radicamento di uomini e tecnologie in Italia,
valore che è stato garantito con apposite clausole negli accordi».
Eppure c’è chi lamenta che l’Italia ha perso un pezzo pregiato della sua industria
«Questa è un’operazione che rende Pirelli più forte, ne ribadisce il
radicamento e rafforza il ruolo del management. Continuiamo a guidare
noi, portando avanti i piani di sviluppo stabiliti e senza alcun rischio
per l’occupazione, né in Italia né negli stabilimenti esteri».
Qualcuno si è chiesto se il Fondo strategico o F2i non potessero rappresentare delle alternative per tenere Pirelli italiana.
«Non ha molto senso in questo caso invocare l’intervento di fondi pubblici per garantire l’italianità. Uomini, tecnologie e sede in Italia sono garantiti dagli accordi e il partner cinese ci rafforza in un mercato enorme».
«Non ha molto senso in questo caso invocare l’intervento di fondi pubblici per garantire l’italianità. Uomini, tecnologie e sede in Italia sono garantiti dagli accordi e il partner cinese ci rafforza in un mercato enorme».
I sindacati dicono che se in Italia ci fosse stata una politica industriale Pirelli non avrebbe scelto un partner cinese.
«Mi preoccupano certi sussulti che sanno di antico. La vera politica industriale si fa creando le condizioni per attrarre investimenti, che creano posti di lavoro, dando spazio alla formazione e allo sviluppo di tecnologie per far leva sulle eccellenze che fortunatamente ancora esistono nel Paese. Se guardo fuori dall’Italia vedo che le case automobilistiche vanno a produrre in Gran Bretagna, in Germania e in Spagna. Solo ultimamente, per fortuna, Fca ha ripreso a creare posti di lavoro. Perché queste difficoltà in Italia? La risposta non può essere certo un nazionalismo di maniera che parla in modo superficiale di politica industriale».
«Mi preoccupano certi sussulti che sanno di antico. La vera politica industriale si fa creando le condizioni per attrarre investimenti, che creano posti di lavoro, dando spazio alla formazione e allo sviluppo di tecnologie per far leva sulle eccellenze che fortunatamente ancora esistono nel Paese. Se guardo fuori dall’Italia vedo che le case automobilistiche vanno a produrre in Gran Bretagna, in Germania e in Spagna. Solo ultimamente, per fortuna, Fca ha ripreso a creare posti di lavoro. Perché queste difficoltà in Italia? La risposta non può essere certo un nazionalismo di maniera che parla in modo superficiale di politica industriale».
E la sua risposta qual è?
«In Italia è mancato un progetto per il futuro dell’industria. Oggi abbiamo la possibilità di diventare il Paese delle opportunità per gli italiani e gli stranieri. Se abbiamo perso competitività per molti anni è proprio perchè le scelte di politica industriale del passato hanno impoverito il Paese. Per decenni abbiamo sentito dire che piccolo è bello, ma il piccolo per crescere ha bisogno della dimensione, che porta a ragionare in grande tutti gli attori del mercato creando una società più aperta. L’Italia invece non ha creato le condizioni per attrarre i grandi e per far crescere le aziende medie. Quando un’azienda decide di uscire dall’Italia ci si dovrebbe chiedere perché. Certo, a pensarci i “lacci e lacciuoli” invocati da Guido Carli, erano nulla. Oggi c’è un nodo gordiano, di cui ha beneficiato chi conosceva le scorciatoie per evitare i nodi e la corruzione è dilagata. Troppo spesso, di fronte a un problema, si è fatta una nuova legge senza guardare a quelle che andavano eliminate perché la nuova potesse funzionare. E tutto è diventato sempre più complesso».
«In Italia è mancato un progetto per il futuro dell’industria. Oggi abbiamo la possibilità di diventare il Paese delle opportunità per gli italiani e gli stranieri. Se abbiamo perso competitività per molti anni è proprio perchè le scelte di politica industriale del passato hanno impoverito il Paese. Per decenni abbiamo sentito dire che piccolo è bello, ma il piccolo per crescere ha bisogno della dimensione, che porta a ragionare in grande tutti gli attori del mercato creando una società più aperta. L’Italia invece non ha creato le condizioni per attrarre i grandi e per far crescere le aziende medie. Quando un’azienda decide di uscire dall’Italia ci si dovrebbe chiedere perché. Certo, a pensarci i “lacci e lacciuoli” invocati da Guido Carli, erano nulla. Oggi c’è un nodo gordiano, di cui ha beneficiato chi conosceva le scorciatoie per evitare i nodi e la corruzione è dilagata. Troppo spesso, di fronte a un problema, si è fatta una nuova legge senza guardare a quelle che andavano eliminate perché la nuova potesse funzionare. E tutto è diventato sempre più complesso».
Questo governo ha visione di politica industriale?
«Ha lo sguardo giusto sul mondo e l’agenda giusta. Il Jobs act è un atto di vera politica industriale».
«Ha lo sguardo giusto sul mondo e l’agenda giusta. Il Jobs act è un atto di vera politica industriale».
Renzi era stato messo al corrente che stava negoziando con ChemChina. Ci sono state interferenze?
«Nessuna. Alla vigilia della firma ho spiegato al premier il progetto industriale. Ha colto che per Pirelli è una grande opportunità».
«Nessuna. Alla vigilia della firma ho spiegato al premier il progetto industriale. Ha colto che per Pirelli è una grande opportunità».
Perché proprio ChemChina?
«Abbiamo scelto ChemChina perché non c’è sovrapposizione e ci consente di avere un accesso diretto al mercato cinese dei pneumatici giganti. La nostra intenzione era di stabilizzare il segmento “industrial” che in Pirelli ha una dimensione non ottimale. Il futuro per questo mercato, e non solo, è l’Asia e dunque è lì che stavamo guardando. Pirelli ha la tecnologia, prodotti competitivi e una redditività elevata, che potrà dare valore grazie anche alla capacità produttiva e alla presenza sul mercato di Aeolus (la controllata di ChemChina negli pneumatici, ndr ). Raddoppiamo da subito la produzione. A fianco di questo proseguirà la strategia di sviluppo nel segmento premium, che ha una crescita tripla rispetto al consumer, e in cui abbiamo investito molto in questi anni aprendo nuove fabbriche. Il mio compito sarà occuparmi del processo di riorganizzazione, rendere Pirelli più forte e solida e creare i presupposti per la continuità costruendo il percorso di successione».
«Abbiamo scelto ChemChina perché non c’è sovrapposizione e ci consente di avere un accesso diretto al mercato cinese dei pneumatici giganti. La nostra intenzione era di stabilizzare il segmento “industrial” che in Pirelli ha una dimensione non ottimale. Il futuro per questo mercato, e non solo, è l’Asia e dunque è lì che stavamo guardando. Pirelli ha la tecnologia, prodotti competitivi e una redditività elevata, che potrà dare valore grazie anche alla capacità produttiva e alla presenza sul mercato di Aeolus (la controllata di ChemChina negli pneumatici, ndr ). Raddoppiamo da subito la produzione. A fianco di questo proseguirà la strategia di sviluppo nel segmento premium, che ha una crescita tripla rispetto al consumer, e in cui abbiamo investito molto in questi anni aprendo nuove fabbriche. Il mio compito sarà occuparmi del processo di riorganizzazione, rendere Pirelli più forte e solida e creare i presupposti per la continuità costruendo il percorso di successione».
Successione che slitta al 2021. Ha già individuato chi la sostituirà?
«In Pirelli sono importanti due caratteristiche: visione e capacità di gestione e oggi ci sono tante persone capaci nel gruppo. Io farò ciò che è utile all’azienda perchè continui su questo percorso, avendo il dovere, e in base agli accordi anche il diritto, di indicare il mio successore»
«In Pirelli sono importanti due caratteristiche: visione e capacità di gestione e oggi ci sono tante persone capaci nel gruppo. Io farò ciò che è utile all’azienda perchè continui su questo percorso, avendo il dovere, e in base agli accordi anche il diritto, di indicare il mio successore»
Cosa cambia adesso nell’alleanza in Russia?
«Pur diventando cinese il primo azionista, gli accordi in Russia sono tutti confermati. La Russia è importante per il mercato dei prodotti “winter” ed è diventata una base produttiva molto competitiva».
«Pur diventando cinese il primo azionista, gli accordi in Russia sono tutti confermati. La Russia è importante per il mercato dei prodotti “winter” ed è diventata una base produttiva molto competitiva».
I soci di Camfin venderanno o resteranno?
«Chi crede nel progetto ci seguirà in questo nuovo tratto di viaggio della Pirelli. Al momento tutti hanno deciso di proseguire».
«Chi crede nel progetto ci seguirà in questo nuovo tratto di viaggio della Pirelli. Al momento tutti hanno deciso di proseguire».
Lei però non sarà più presidente della Pirelli in questo viaggio. Le dispiace?
«Mi fa sentire più giovane. Dopo una certa età diventano tutti presidenti».
«Mi fa sentire più giovane. Dopo una certa età diventano tutti presidenti».