martedì 9 gennaio 2018

Storia. Se il Tricolore italiano non nacque dalla Bastiglia ma è figlio di Dante e della fede



da barbadillo.it

Nel febbraio 2011 il comico Roberto Benigni, esibendosi sul palco del teatro Ariston durante il festival di San Remo, sostenne che il Tricolore avrebbe avuto origine nientemeno che da Dante. Nel Canto XXX del Paradiso, infatti, il Sommo Poeta raffigura Beatrice vestita dei colori simboleggianti le tre virtù teologali: il rosso della Carità, il bianco della Fede, il verde della Speranza. I detrattori del comico all’epoca ebbero buon gioco a svillaneggiare la performance rintracciando in essa questa o quella inesattezza storica, e il collegamento fra Dante e il Tricolore fu tra le massime cause di ilarità. Tuttavia, almeno, in questo caso, Benigni non aveva tutti i torti.

Il primo ad individuare un collegamento con la bandiera nazionale fu nientemeno che Giosuè Carducci, il 7 gennaio 1897, durante una solenne cerimonia tenutasi a Reggio Emilia per il centenario della nascita “ufficiale” del vessillo patrio, alla presenza del Re d’Italia Umberto I: «Sii benedetta! benedetta nell’immacolata origine, benedetta nella via di prove e di sventure per cui immacolata ancora procedesti, benedetta nella battaglia e nella vittoria, ora e sempre, nei secoli! Non rampare di aquile e leoni, non sormontare di belve rapaci, nel santo vessillo; ma i colori della nostra primavera e del nostro paese, dal Cenisio all’ Etna; le nevi delle alpi, l’aprile delle valli, le fiamme dei vulcani, E subito quei colori parlarono alle anime generose e gentili, con le ispirazioni e gli effetti delle virtù onde la patria sta e si augusta: il bianco, la fede serena alle idee che fanno divina l’ anima nella costanza dei savi; il verde, la perpetua rifioritura della speranza a frutto di bene nella gioventù de’ poeti; il rosso, la passione ed il sangue dei martiri e degli eroi, E subito il popolo cantò alla sua bandiera ch’ ella era la più bella di tutte e che sempre voleva lei e con lei la libertà» .

 Nacque allora la spiegazione dei colori della bandiera italiana che successivamente generazioni di alunni avrebbero imparato dai sussidiari delle elementari: verde come l’erba dei nostri prati, bianco come la neve dei nostri monti, rosso come la lava dei nostri vulcani o, alternativamente, come il sangue dei caduti per la Patria. Al tempo stesso, però, fu proprio, ironia della sorte, l’autore dell’ Inno a Satana , a ricollegare quegli stessi colori alle tre virtù teologali. Certo, l’intenzione non era certo bonaria e si ricollegava, anzi, all’aspetto più profondamente “religioso” del Risorgimento: nel tentativo di affrancare gli italiani dal cattolicesimo e rimpiazzare quest’ultimo con una sorta di religione secolare, si fecero molti sforzi per impadronirsi di simboli e concetti tipicamente cattolici e “riscriverli” in versione laicizzata. Il discorso di Carducci rientra tipicamente in questo tentativo, offrendo una variante secolare delle tre virtù teologali. Tuttavia, il sasso era lanciato.

Lo storico Enrico Ghisi nel 1912 diede alle stampe la prima edizione della sua opera “Il Tricolore Italiano (1796 – 1870)”, in cui, in seguito ad accuratissime ricerche d’archivio, dava una ricostruzione straordinariamente dettagliata della genesi della bandiera nazionale. E fu proprio Ghisi, riprendendo il collegamento carducciano alle tre virtù teologali, a scovare traccia del Tricolore proprio nel Paradiso di Dante, addirittura un po’ prima di dove lo avrebbe poi collocato Benigni: già nel Canto XXIX, versi 121-126, infatti, padre Dante ci descrive Tre donne in dalla destra rota / venian danzando; l’ una tanto rossa / ch’ a pena fora dentro al foco nota; / l’ altr’ era come se le carni e l’ ossa /fossero state di smeraldo fatte; / la terza parea neve testè mossa”.

Il 6 gennaio 1986, nell’ambito di una querelle tra sindaci su quale città avesse realmente dato i natali al Tricolore, l’allora primo cittadino di Milano Carlo Tognoli pubblicò un articolo su Repubblica in cui affermava che “andando a ritroso, sul tricolore se ne scoprono tutti i colori” e, dopo varie curiosità, si richiamava proprio al Ghisi ed alla relativa citazione dantesca.
Nel gennaio 1997 fu lo storico Franco Cardini, in un articolo su Avvenire a riproporre il collegamento fra Tricolore, Dante e virtù teologali. Benigni, insomma, ha avuto ben illustri predecessori.
La storia del Tricolore, però, riserva ancora numerose sorprese: in realtà, studiando le fonti, non si sa bene dove e quando sia nato, trovandosi traccia della sua comparsa qua e là senza che appaiano sempre evidenti collegamenti, al punto che non è nemmeno sicuro al cento per cento che la sua natura di bandiera “sorella” del tricolore francese, come sicuramente era intesa dai patrioti ottocenteschi, si collochi alla sua origine e non sia piuttosto, a sua volta, una rilettura a posteriori.

Per fare solo un esempio, già nel 1633 la milizia urbana della Milano spagnola aveva una divisa bianca, rossa e verde. I colori della divisa erano ancora invariati nel XVIII secolo ed è probabilmente per questo che ’11 ottobre 1796, mesi prima della nascita “ufficiale” del Tricolore, Napoleone Bonaparte istituendo la Legione Lombarda, stabilì, su proposta dei patrioti milanesi, che la bandiera di quest’ultima fosse il tricolore bianco, rosso e verde. E’ per questo che la Repubblica Cisalpina, poi Repubblica Italiana, poi Regno d’Italia di epoca napoleonica, avente proprio Milano come capitale e centro pulsante, scelse quei colori per la propria bandiera, con buona pace degli agguerriti cittadini di Reggio Emilia. In tal caso, la vera origine del Tricolore si situerebbe nel seno della Hispanidad cattolica e solo per via di una operazione di appropriazione esso sarebbe poi diventato un simbolo rivoluzionario. Il motivo per cui la milizia della Milano spagnola scelse proprio quei colori, poi, è sorpendente: si decise di aggiungere al bianco e al rosso, colori araldici del Ducato di Milano, il verde in quanto colore della speranza, trasformando, quindi, quel primo, antico tricolore in una rappresentazione delle tre virtù teologali!

E non è nemmeno questo lo scoop storico più clamoroso: nella primavera del 2016, ad Onzo, nell’entroterra di Albenga, nell’ambito della mostra “Il tormento e l’estasi”, organizzata dalla Fondazione TribaleGlobale, il pezzo forte è costituito da un dipinto raffigurante l’Ascensione della Madonna, in cui compare, ai piedi di un giovinetto … il Tricolore bianco, rosso e verde a strisce verticali!. La cosa straordinaria è che l’autore del quadro sarebbe Pietro Balestra, sacerdote e artista di Busseto, morto nel 1789, vale a dire quando la Rivoluzione Francese era appena agli albori. Sul sito dell’associazione il presidente Giuliano Arnaldi scrive:  Perché un Sacerdote dipinge una Bandiera Bianca, Rossa e Verde ai piedi della Madonna? Azzardo una ipotesi: Dante presenta le tre virtù Teologali come tre donne vestite appunto di Rosso (Carità), Bianco (Fede) e Verde (Speranza) (Purgatorio, Canto XXIX, v. 121-126) ed è poi la stessa Beatrice, che rappresenta la Teologia a comparire vestita dei tre colori (Purg., Canto XXX v. 30-33). Può essere che Pietro Balestra abbia voluto esprimere in questa forma un profondo significato estatico: in fondo Beatrice sostituisce Virgilio nel viaggio di Dante proprio quanto egli si affaccia alle porte del Paradiso, e gli compare in uno splendore di gloria sostituendo alla guida della ragione (Virgilio) quella della Teologia, che trova in Beatrice una allegoria perfetta e indispensabile per percorrere la strada del Paradiso”. 
 
Si potrebbe, però, andare molto più a fondo. Prendiamo, per esempio, i Magi d’Oriente, o Re Magi che dir si voglia. Nei doni che essi portarono al Bambin Gesù (oro, incenso e mirra), per secoli gli esegeti si sono sbizzarriti a trovare simbologie sottese. Esse sono davvero innumerevoli, e fra queste vi è quella per cui essi rappresenterebbero proprio Fede, Speranza e Carità. Per questa ragione, tanto l’arte quanto numerose rappresentazioni tradizionali, ce li raffigurano vestiti di bianco, rosso e verde. La più antica di queste opere è probabilmente nel mosaico della Basilica di Sant’Apollinare in classe, a Ravenna, risalente al VI secolo dopo Cristo.
Sotto questa luce, la collocazione della Festa del Tricolore nel giorno successivo all’ Epifania, benché da un punto di vista storico non ineccepibile, assume tuttavia un significato ben più profondo e suggestivo. Si potrebbe definire un caso ben curioso, se solo noi cattolici fossimo autorizzati a credere al caso…

*Da Campari & De Maistre