di Gloria Sabatini
"Se un uomo non è disposto a lottare per le proprie idee, o le sue
idee non valgono niente o non vale niente lui”. Chi tra gli adolescenti
(di destra?), oggi quarantenni e cinquantenni, non ha esposto in camera
un poster nero con il profilo argento di Ezra Pound e questa frase? Ormai celeberrima, diventata un motto, anche usa e getta, ma dal sicuro impatto emotivo.
Auguri Ezra Pound, Omero del 900
Oggi ricorre l’anniversario della nascita del poeta americano, nato il 30 ottobre 1885 a Hailey, nello stato dell’Idaho. Poeta, scrittore, nume immaginifico. Vittima sacrificale di un Occidente usuraio e miope, Pound visse nei pressi di Filadelfia sino a quando, nel 1925, non si trasferì in Italia, a Rapallo, dopo un viaggio in Europa
compiuto con la famiglia dal quale tornò sedotto dal Bel Paese. Tanto
sedotto che ne fece un altro con pochi dollari in tasca, perché –
pensava il poeta americano – «per dare il meglio è necessaria qualche
restrizione e per viaggiare deve stare tutto in non più di due valigie».
L’arresto e la prigionia
Visse in pieno l’Italia del Ventennio aderendo al Fascismo
mussoliniano in nome di un superamento delle contraddizioni della destra
e della sinistra («Mille candele insieme fanno splendore. La luce di
nessuna candela danneggia la luce di un’altra. Così le libertà
dell’individuo nello stato ideale e fascista») dove restò fino al 1945 dedicandosi alla stesura dei Cantos. Una
produzione immensa, la sua: lettere, poesie, scritti di economia (quasi
un’ossessione) e un mescolarsi di fluidi che lo avvicinano e lo
allontanano dai “grandi” dell’epoca (nel 1914 diventa segretario di Yeats,
altro gigante del Novecento, e impose la pubblicazione delle prime
poesie di Eliot). I suoi discorsi, la sua lucida follia, l’adesione al
Fascismo: troppo per essere tollerata dall’Italia e dall’Europa che
stavano precipitando nel cratere della Seconda guerra mondiale. Così venne catturato dai partigiani, imprigionato e
consegnato alle forze armate statunitensi. Per tre settimane Ezra Pound
resta rinchiuso in una gabbia di ferro, esposto al sole di giorno e
agli accecanti riflettori di notte. Trasferito poi sotto una tenda, gli
viene concesso di scrivere. E finisce di comporre i Canti. Trasferito a
Washington, fu dichiarato traditore e condannato alla pena di morte.
Al processo, un vergognoso rito funebre ante mortem, venne dichiarato
infermo di mente e rinchiuso per dodici anni nel manicomio criminale di
Saint Elisabeth. Il «matto» aveva il diritto di ricevere visite, purché
concordate, ed era quotidianamente assistito dalla moglie. Nel 1958,
finalmente liberato, si rifugiò a Merano dalla figlia Mary. Il 1 novembre 1972 morì a Venezia, che tanto amava.
Nume contro l’usura e la vanità
Di Pound, al quale venne negato il Premio Nobel per le sue simpatie
“scorrette”, è stato scritto quasi tutto, in Italia venne scandagliato
nel pensiero e nell’anima da Giano Accame, cultore mai retorico di Ezra Pound, fu riletto da Pier Paolo Pasolini, culturalmente
e politicamente, quanto di più lontano dal Poeta anti-iusura. Nume
contro l’ombra di Wall Street che ha insegnato, a chi vuole ascoltare,
che il contrario del mercato non è la democrazia, ma il tempio (The temple is holy because it is not for sale.
Il tempio è sacro perché non è in vendita). Ma anche Poeta contro la
vanità. “Strappa da te la vanità/ Quello che veramente ami rimane/il
resto è scorie/Quello che veramente ami non ti sarà strappato/Quello che
veramente ami è la tua vera eredita”.
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