lunedì 4 febbraio 2013

Sulla tragedia delle foibe l’Anpi preferisce schierarsi con Tito


di Gloria Sabatini (Secolo d'Italia)

“Tito Tito maresciallo assassino” era il ritornello di una canzone della compagnia dell’Anello molto amata dai giovani di destra a cavallo tra gli anni ’70 e gli anni ’80. Oggi c’è ancora chi nel nome dell’antifascismo militante e della resistenza partigiana, invece, fa il tifo per l’ex presidente jugoslavo. Dalle parte dell’Italia? Meglio Tito. A dieci giorni dalla “Giornata del ricordo” istituita nel 2004 per «non dimenticare» la tragedia dell’esodo giuliano-dalmata e lo scempio delle foibe titine, si riaffacciano qua e là i nostalgici della guerra civile, i negazionisti, gli irriducibili del braccio di ferro ideologico. 

“In fondo se lo sono meritata – è la vulgata della resistenza torinese guidata dall’Anpi – le vittime delle foibe sono criminali di guerra e non meritano il riconoscimento dello Stato italiano”. Complice la campagna elettorale che non risparmia toni duri e colpi bassi, l’Associazione nazionale partigiani d’Italia ha organizzato proprio per il 10 febbraio a Torino l’immancabile presidio “antifascista per la pace e la democrazia” con una mostra fotografica tutta ispirata all’equazione genocidio italiano uguale reazione legittima alle violenze fasciste. Peggio dell’oblio, siamo alla riedizione dell’odio ideologico contro il male assoluto da estirpare con tutti i mezzi. Tra i primi a reagire il consigliere Maurizio Marrone, classe 1982, capogruppo pidiellino al comune di Torino oggi arruolato in Fratelli d’Italia: «È una provocazione che giustifica il genocidio antitaliano e uccide le vittime per la seconda volta». 

«Quando avremo anche la capacità di rispettare i martiri senza strumentalizzazioni, saremo finalmente un popolo», dice Giorgia Meloni. Non è retorica di parte ricordare la storia di migliaia di italiani, legate col filo spinato, passate per le armi e precipitate ancora vive nelle foibe. E non è la favoletta raccontata dalla destra nostalgica e passatista. Basta andarsi a rileggere le parole pronunciate da Giorgio Napolitano in occasione del 10 febbraio 2006 che attribuiscono l’origine delle foibe a «un moto di odio e furia sanguinaria e un disegno annessionistico slavo che prevalse innanzitutto nel trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica». Basta fare tesoro dell’appello alla memoria condivisa di un ex comunista come Luciano Violante quando nel lontano ’96 da neopresidente della Camera disse che «per condiscendenza nella storia scritta dai vincitori gli eccidi titini erano stati cancellati dalla memoria collettiva italiana». 

Da allora molto si è fatto e molto resta da fare per la costruzione di una identità nazionale comune: la provocazione degli ex Partigiani torinesi è un salto all’indietro che non fa bene alla comunità. Le cronache degli scorsi anni sono piene di distrazioni e strane dimenticanze. Il sindaco di Pistoia che interpretò la Giornata del Ricordo distribuendo nelle scuole della città un volume sull’argomento dal vago sapore giustificazionista. E il primo cittadino di Napoli, Luigi De Magistris al quale sfuggì di inserire le celebrazioni nel calendario Comune, salvo poi rimediare con un improvvisato incontro con gli studenti. Immaginate se il sindaco di Roma avesse dimenticato il giorno della memoria nel ricordo della Shoah.