da barbadillo.it
«Quella che cerco di raccontare è una storia che inizia nel 1799 a Perasto, poi prosegue nei vitigni… e arriva alla tragedia di 350.000 esuli e 20.000 infoibati. Ma è un percorso che non finisce, continua a Trieste nel ’53 e, soprattutto, continua nella dignità degli esuli». Così Emanuele Merlino, dirigente del Comitato 10 Febbraio nonché regista teatrale, presenta “Io ricordo”, che andrà in scena per la prima volta l’8 febbraio p.v. al teatro Elsa Morante (Piazza Elsa Morante, Roma).
La trama esteriore è estremamente semplice: «Sulla scena ci sono due attori – racconta Emanuele Merlino, che di “Io ricordo” è autore, regista ed attore – uno sono io, che fondamentalmente interpreto me stesso. Per questo il titolo “Io ricordo”. Ovviamente non ho vissuto in prima persona la tragedia dell’esodo e non discendo da persone che l’abbiano vissuta, quindi mi limito a raccontare, esattamente come farei con un caro amico, da cosa nasce l’interesse così profondo per le vicende del confine orientale, vicende passate che, apparentemente, non mi appartengono».
Da cosa nasce questo pathos per la questione italiana sul confine orientale?
«Dall’amore. Quella che racconto è, in qualche modo, una storia d’amore: per la propria terra, per la propria famiglia, la propria storia, la propria dignità. Credo che non sia il luogo in cui si è nati a fare la storia, la nostra storia, ma il sangue, la lingua, l’appartenenza. In Istria e Dalmazia, ormai settant’anni fa, arrivò qualcuno cercando di bandire una tradizione ed una lingua millenarie per sostituirle con il paradiso socialista ed una nuova lingua, quella slava. Gli esuli hanno scelto di abbandonare la propria terra per conservare un’identità. E al loro arrivo sono stati trattati come fuggiaschi, latitanti, criminali. Eppure hanno scelto comunque l’Italia e l’hanno fatta grande. Altri hanno imparato ad avere il rispetto dovuto attraverso il pianto, altri ancora con le bombe sui tralicci. Gli istriani l’hanno fatto raccontando le loro storie, ma soprattutto rimboccandosi le maniche e diventando grandi stilisti, penso ad Ottavio Missoni, o portando i propri pugni sulla vetta del mondo, come Nino Benvenuti. E l’hanno fatto con grandissima dignità. Non ho vissuto il loro dramma, ma ho appreso il loro insegnamento. E mi piace pensare che in modo diverso, anche se non c’entra nulla con l’Istria, c’è chi ancora combatte, come fecero loro settant’anni fa: contro gli americani che vogliono mettere il Muos, contro chi ci vuole convincere che la nostra cultura, la nostra terra e la nostra identità sono sbagliate e vanno sostituite».
Chi è l’altro attore?
«Giuseppe Abramo, giovane e molto preparato, che ha già alle spalle qualche esperienza importante, tra cui una parte nel “Marchese del Grillo”, al fianco di Pippo Franco. Lui, in genere, è un attore comico».
Come mai un comico per un dramma?
«In realtà per una serie di motivi. Prima di tutto, da un punto di vista professionale, Giuseppe è straordinario. Poi perché credo che chiunque sappia fare bene il comico sappia molto bene anche cos’è il dramma, la tristezza… Giuseppe secondo me era perfetto. È una persona senza pregiudizi, non impegnata politicamente, e questo status lo trasmette».
Quanto è legato questo spettacolo al Comitato 10 Febbraio?
«Moltissimo, mi piace pensarlo come un manifesto ideale del Comitato, che viene anche citato. Il Comitato 10 Febbraio è formato essenzialmente da giovani , per lo più non esuli e non figli di esuli. Ma riteniamo tutti a modo nostro che, per citare una canzone della Compagnia dell’Anello, un italiano non è tale se non è anche dalmata e giuliano … come anche siciliano o napoletano».
Una buona ragione per venire a vederti?
«Primo perché è gratis quindi un applauso non si nega a nessuno. Secondo perché la questione del confine orientale è stata variamente ripresa, tra i tanti Paolo Logli ha fatto uno spettacolo straordinario, raccontando la storia di un esule. Io invece racconto la storia di uno come tanti che ha deciso di impegnarsi. Forse è meno commovente, ma è una storia che ognuno potrebbe riconoscere come propria».
A cura di Silvia Quaranta