di Pier Paolo Dal Monte
Accade sempre più di rado che un libro ci sorprenda, forse perché ne abbiamo letti tanti o, forse, perché sono sempre più rari i libri sorprendenti. Eppure ciò è accaduto con la lettura di questo. Uno dei motivi della nostra sorpresa è stata la scoperta della ricchezza di pensiero di un personaggio che, dobbiamo ammettere, non abbiamo mai troppo considerato e, pertanto non ci siamo mai curati di conoscere a fondo. Abbiamo sì spigolato qua e là qualche pagina della sua vasta opera, ma non siamo andati molto oltre quelle iniziali, considerando quegli scritti dei semplici reportage giornalistici ben narrati o, tutt’al più racconti di viaggio, categoria che non frequentiamo più da vari anni.
Leggendo questo libro abbiamo capito di aver commesso una leggerezza, di aver dato un giudizio affrettato (tanto affrettato da essere un pregiudizio) su qualcosa che meritava ben più di una lettura superfiiciale. Dobbiamo ringraziare l’autrice per averci fatto scoprire che l’opera di Terzani è molto più di quello che pensammo, ma narra un percorso interiore complesso e profondo (non è forse questo lo scopo di ogni viaggio che non sia semplice evasione da una squallida quotidianità?) ch’ella distilla con maestria per coglierne la quintessenza, dipanando l’aggrovigliata matassa sparsa in un’ampia mole di scritti e tessendola con perizia sino a formare un disegno coerente che mostra quell’archetipico viaggio interiore che dovrebbe costituire la trama della vita di ognuno di noi.
Diceva Henry Miller che “ C’è solo una grande avventura, ed è al di dentro, verso l’essere, e per questo non contano né il tempo, né lo spazio, e nemmeno i fatti.”, l’unico viaggio importante è quello che si percorre verso le profondità di noi stessi, non quello orizzontale, che copre l’estensione cartesiana, ma quello verticale che porta dalla materia allo spirito. Il viaggio della vita, inizia con la catabasi dello spirito che si condensa nella materia i cui siamo fatti -il “peccato originale”- e, nel corso del cammino, quella materia finirà col sublimarsi nuovamente in spirito. L’abilità dell’autrice è stata quella di cogliere il filo del percorso della che Terzani compie nel corso di una vita piena di luoghi, pensieri e persone, fino a confrontarsi, alla fine con una lunga malattia ch’egli coglierà come stimolo per l’anabasi finale.
Uno dei capitoli più importanti del libro, “La materia al centro di tutto”, tratta del complesso ideologico e mitologico che, da quattrocento anni, guida il corso della civiltà occidentale, la cui compulsione verso il “dominio del mondo” ha generato conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti. I due miti principali di questo complesso, sono incarnati dal dogma economico e da quello scientista: la scienza e l’economia, da strumenti sono diventati dottrine di fede.
“A volte abbiamo persino l’impressione che la nostra vantata civiltà, tutta fondata sulla ragione, sulla scienza e sul dominio di quello che ci circonda, ci abbia portato in un vicolo cieco, ma tutto sommato pensiamo che la scienza ci aiuteranno a uscirne. E così continuiamo imperterriti a tagliare foreste, inquinare fiumi, seccare laghi, spopolare gli oceani, allevare e massacrare animali, perché questo – ci dicono gli scienziati ed economisti produce benessere”(pag 54)
La critica di Terzani è volta proprio a smascherare la credenza che l’economia sia una forza immanente alla quale bisogna attribuire una fede incondizionata, mentre invece è solo una funzione della società, quella volta a facilitare e –eventualmente- a normare gli scambi di beni e servizi, come già Aristotele comprese più di duemila anni fa.
A proposito dei nostri economisti Terzani si domanda: “Cosa sanno dirci sull’avidità che sta distruggendo il mondo in nome di quello che loro stessi, magari, definiscono progresso? [...] Parole come ‘ingordigia’, ‘avidità’, ‘egoismo’ non compaiono certo nei libri di economa e gli stessi economisti continuano a praticare la loro scienza come se non avesse niente a che fare col destino dell’umanità” (Ibid.)
Queste considerazioni ci ricordano quelle di Nicholas Georgescu-Roegen che, primo tra gli economisti, mise in luce i rapporti tra il processo economico e la seconda legge della termodinamica (quella che definisce l’entropia), arrivando a conclusioni simili a quelle che Terzani esprime nel passo seguente:
“ Quanto ancora potrà durare un mondo così, retto esclusivamente dai criteri incolti, disumani ed immorali del’economia?” (pag 55)
L’autrice, prendendo spunto dagli scritti di Terzani, elabora una forte critica del modello economico che informa la moderna società globale, critica che si inserisce in un solco tracciato da pensatori del calibro di Adorno e Horckheimer, Hannah Arendt e, più recentemente, di figure come Bernard Charbonneau, Andrè Gorz e Serge Latouche; col grande merito di trattare questo tema in maniera assai più semplice ed immediata, alla portata di lettori poco adusi a confrontarsi con opere complesse come quelle degli autori citati, ben comprendendo che, “Immersi come siamo in questa visione del mondo, non ci rendiamo conto di quanto il punto di vista economico, che domina così pesantemente la nostra vita, sia privata che pubblica, non abbia la benché minima valenza universale, ma derivi da un ben definito ambito di pensiero” (pag 137
Lo stesso dicasi per ciò che riguarda la critica alla “religione della scienza” (allareligione della scienza, si badi bene, non alla scienza in quanto tale), che solo pochi autori hanno saputo condurre in profondità,
“Noi moderni siamo immersi in una mentalità scientifica, la quale, fondandosi sull’assunto che esista un mondo materiale separato dalla mente, pensa che questo mondo possa essere dominato e asservito ai nostri desideri. E’ quindi l’utilizzo di questo mondo a rappresentare il fine ultimo della nostra mentalità scientifica [...]Abbiamo messo la scienza sull’altare al posto della religione, ma la scienza è soltanto una delle possibili visioni del mondo, e il fatto che essa sia quella più moderna, non deve trarci troppo in inganno” (pag. 58, 68)
Terzani non sembra avere un atteggiamento pregiudiziale nei confronti della scienza in quanto tale né, tantomeno, aprioristicamente “antimodernista”, semplicemente egli biasima l’assolutismo culturale che ha messo la scienza su un altare e ne ha fatto un idolo cui si deve fede e venerazione ma che non può essere oggetto di critica, ed è diventato l’unico strumento di osservazione e l’unico criterio di valutazione dell’esistente.
“La scienza è bravissima la scienza contribuisce enormemente a rendere la nostra vita più comoda. [...] Ma che altro ci dà? Niente. Ci toglie il cielo perché con la pretesa di essere tutto blocca ogni altra aspirazione.” (pag 202),
Il riduzionismo insito visione del mondo meccanicistica, è responsabile di un’epistemologia sempliciotta che non è adatta per riconoscere ed affrontare adeguatamente i problemi generati dalla complessità dovuta alle infinite interazioni che caratterizzano i sistemi socioeconomici e gli ecosistemi. L’approccio meccanicistico non fa altro che cercare la vis a tergo di qualsiasi fenomeno, una causa chiara e definita e presuppone che, modificando quest’ultima, l’effetto risultante potrà fornire una soluzione, come nell’esempio della beata speranza della pace nel mondo:
“Nel mondo attuale , l’idea dominante riguardo alla pace è questa: una crescita economica diffusa porterà alla pace mondiale. Se esistono ancora guerre e conflitti, ciò accade perché esistono ancora situazioni di povertà e miseria. Ma quali fondamento ha un’idea così diffusa” (pag 121)
Nessun approccio che si fondi su simili basi è adeguato per comprendere quelli che sono chiamati, nel moderno gergo scientifico, sistemi adattativi complessi,semplicemente perché, nella complessità, le leggi lineari del meccanicismo, non funzionano..
“Quando l’essere dell’universo veniva concepito come totalità, come completa interconnessione, come unità complessa, il valore veniva sen’altro attribuito all’ordine, all’equilibrio e all’armonia delle cose. Lo scopo dell’uomo era dunque adeguarsi il più possibile all’ordine della natura” (pag. 106
Il pensiero antico, che era olistico e quindi aveva una visione unitaria del cosmo e dell’uomo, aveva compreso da millenni queste semplici verità. Purtroppo la moderna visione del mondo ha prima svilito e poi ablato questo orientamento, per abbracciare un metodo meccanicistico che frammenta la conoscenza in mille rivoli, come fanno le attuali scienze. Solo negli ultimi decenni, si è iniziato a comprendere che lo studio dei sistemi complessi non può essere condotto attraverso il riduzionistico quadro epistemologico del meccanismo, perché
“ Nel mondo tutto è legato, interrelato, collegato. Piuttosto che un solo nesso lineare causa-effetto, dovremmo ammettere che esiste sempre una catena di cause-effetti ed effetti-cause” (pag 81)
Prendere coscienza di quest’infinita complessità può essere scoraggiante, può disorientare coloro che vorrebbero cambiare le cose, modificare il corso suicida della nostra civiltà. Dove appoggiarsi? Da dove iniziare? Terzani suggerisce che il cambiamento debba, prima di tutto, essere interiore
“Dobbiamo renderci conto di quanti bagagli dobbiamo disfarci prima di metterci in cammino. Di questi bagagli i più pesanti sono senz’altro le idee che per abitudine ci portiamo appresso, il fardello delle idee collettive che danno forma la nostro tempo [...] Oggi il mondo è pieno di cose che vogliono intrappolarvi e fare di voi dei consumatori. Consumate sciocchezze, banalità. Allora difendetevi, digiunate [...]Ad ogni passo che fate domandatevi perché lo fate. La coscienza, amici miei, la coscienza prima di tutto [...]Basta ridurre i cosiddetti bisogni di cui presto ci si accorge di non aver bisogno affatto.[...]Questa è la vera libertà, non la libertà di scegliere, ma la libertà di essere” (pag 105, 104,164-165)
E poi, ancora
“Il salto qualitativo sta nell’esercitarsi ad abbandonare il nucleo dell’ego, dove l’io domina la materia attraverso il sapere, la modifica perché si adegui ai suoi interessi, la assoggetta al proprio utile e così finisce che la categoria più importante sia quella del profitto e tutto il mondo, compresa la natura e gli esseri umani è ridotto a qualcosa che possiamo consumare” (pag.217)
Che dire dopo questo? Possiamo solamente ringraziare ancora l’autrice per averci guidato non solo attraverso l’opera di un autore straordinario, ma anche, con grande acume critico, attraverso la storia del pensiero che ha portato alle rovine dell’oggi. La via per riuscire a liberarci dalle nostre catene è quella di smettere di credere ch’esse siano ciò che ci rende liberi.