di Giampaolo Rossi
Se Graziano Delrio, ministro degli Affari Regionali, avesse letto Johann Gottfried Herder, avrebbe evitato di far arrabbiare i “montanari” del Cai (lo storico Club Alpino Italiano fondato da Quintino Sella). Ma cosa c’entra un ministro del governo Letta, con un filosofo tedesco del ‘700 e con gli appassionati della montagna? Ora provo a spiegarlo.
Johann Herder è stato uno dei massimi teorici della nazione nel tempo in cui le nazioni dovevano prendere forma compiuta. Personaggio eclettico e allievo di Kant, era convinto che lo spirito di un popolo e la sua identità fossero intimamente legati alla lingua. Per Herder, la lingua non era solo un mezzo per comunicare ma “il legame delle genti” e l’impronta di un preciso carattere nazionale; “la lingua è ciò che individua una Nazione”, scriveva nel 1764.
Graziano Del Rio, al contrario, è convinto che la lingua di un popolo sia una sorta d’incidente di percorso, una specie di merce di scambio per accordi politici improvvisati e concessioni d’interesse. E così, agli inizi d’Agosto, ha pensato bene di stipulare un accordo con l’altoatesino Luis Durnwalder, Presidente della Provincia autonoma di Bolzano, che prevede la cancellazione di 135 toponimi italiani dalla cartellonistica dei sentieri di montagna, che rimarranno solamente in lingua tedesca. In pratica da oggi, le montagne italiane dell’Alto Adige non saranno più italiane, ma tedesche.
Questo ha fatto arrabbiare le guide alpine del Cai, gente tosta, che della “conoscenza delle montagne” fa la base della sua attività, della sua passione ed anche dell’amore per il nostro paese; già in passato si erano impegnate in prima linea nella difesa del bilinguismo, trovando accordi con la comunità di lingua tedesca, meglio di quanto ha saputo fare Delrio.
Il ministro si è affrettato a spiegare che “questa intesa va nella direzione di una conquista della convivenza e del bilinguismo”. Ora, come possa il bilinguismo essere “conquistato” eliminando una delle due lingue (e guarda caso proprio quella della nazione a cui la provincia di Bolzano, fino a prova contraria, appartiene) questo Del Rio non ce lo spiega.
Il problema è ovviamente complesso e attiene a questioni storiche e giuridiche. Proviamo a semplificarle.
Finita la seconda guerra mondiale il destino dell’Alto Adige, che apparteneva all’Italia pur avendo una popolazione a maggioranza tedesca, fu risolto a margine della Conferenza di Parigi; la stretta di mano tra Alcide De Gasperi e il ministro degli esteri austriaco, Karl Gruber, sancì, almeno apparentemente, la fine del contenzioso su questa regione: l’Alto Adige rimaneva all’Italia, ma l’Italia s’impegnava a tutelare la popolazione di lingua tedesca introducendo il bilinguismo, consentendo l’insegnamento del tedesco nelle scuole e autorizzando il rientro degli Optanten, quei tedeschi che durante il nazismo avevano rinunciato (optato) alla cittadinanza italiana trasferendosi in Germania. Ma la questione altoatesina continuò negli anni successivi a fronte del sorgere del terrorismo dei gruppi oltranzisti sudtirolesi e delle accuse austriache di non rispettare l’accordo di Parigi; accuse che arrivarono persino a scomodare l’Onu che all’inizio degli anni ’60 dovette emanare due risoluzioni (la 1497 e la 1661) per dire sostanzialmente ad Italia ed Austria: “vedetevela da soli e non disturbate troppo”.
La questione sembrò trovare una sua definiva mediazione nel 1972, quando è stato promulgato lo Statuto speciale di autonomia per il Trentino Alto Adige (divenuto Legge Costituzionale nel 2001) che ha sancito “l’obbligo della bilinguità nel territorio della provincia di Bolzano”e ha specificato che “nella regione la lingua tedesca è parificata a quella italiana che è la lingua ufficiale dello Stato”.
E’ possibile che il ministro Delrio e coloro che lo hanno consigliato a firmare l’accordo, non fossero a conoscenza di tutto questo?
La cancellazione di 135 nomi italiani è un atto di gravità assoluta che genera un precedente pericoloso nei rapporti con la comunità tedesca. Attraverso di esso il governo Letta riconosce un diritto di monolinguismo (tedesco) in Alto Adige. Paradossalmente, il governo italiano ha violato i patti di Parigi contro se stesso. Ora potrebbero essere i cittadini di lingua italiana a rivolgersi all’Onu affinché l’Italia rispetti il loro diritto al bilinguismo. Una follia che rasenta il comico, nella tragicità di un atto anti-costituzionale che non rispetta la nostra identità nazionale.
L’endocrinologo di Reggio Emilia diventato Ministro degli Affari Regionali, così come l’oculista del Congo che vuole lo “ius soli” (ma paragona il burqa islamico al velo delle suore cattoliche), sono due facce di una stessa medaglia: quella di una classe politica che sembra incapace di comprendere la differenza tra interessi nazionali e battaglie ideologiche.
Il paradosso è che mentre il governo Letta rinuncia all’italiano in Alto Adige, l’Europa riconosce la nostra lingua a livello continentale accogliendo il ricorso italiano contro l’uso esclusivo di inglese, francese e tedesco, nei bandi pubblici Ue; uno smacco per un governo che fa dell’obbedienza cieca all’Europa, la sua ragione d’esistere. Il Tribunale del Lussemburgo ha imposto in futuro che l’italiano e le altre lingue comunitarie siano inserite nei bandi dei concorsi, per evitare “una disparità di trattamento sulla base della lingua” vietata dalla Corte dei Diritti fondamentali. Disparità di trattamento che, invece, Delrio e il governo Letta hanno imposto agli italiani in Alto Adige.
Johann Herder è stato uno dei massimi teorici della nazione nel tempo in cui le nazioni dovevano prendere forma compiuta. Personaggio eclettico e allievo di Kant, era convinto che lo spirito di un popolo e la sua identità fossero intimamente legati alla lingua. Per Herder, la lingua non era solo un mezzo per comunicare ma “il legame delle genti” e l’impronta di un preciso carattere nazionale; “la lingua è ciò che individua una Nazione”, scriveva nel 1764.
Graziano Del Rio, al contrario, è convinto che la lingua di un popolo sia una sorta d’incidente di percorso, una specie di merce di scambio per accordi politici improvvisati e concessioni d’interesse. E così, agli inizi d’Agosto, ha pensato bene di stipulare un accordo con l’altoatesino Luis Durnwalder, Presidente della Provincia autonoma di Bolzano, che prevede la cancellazione di 135 toponimi italiani dalla cartellonistica dei sentieri di montagna, che rimarranno solamente in lingua tedesca. In pratica da oggi, le montagne italiane dell’Alto Adige non saranno più italiane, ma tedesche.
Questo ha fatto arrabbiare le guide alpine del Cai, gente tosta, che della “conoscenza delle montagne” fa la base della sua attività, della sua passione ed anche dell’amore per il nostro paese; già in passato si erano impegnate in prima linea nella difesa del bilinguismo, trovando accordi con la comunità di lingua tedesca, meglio di quanto ha saputo fare Delrio.
Il ministro si è affrettato a spiegare che “questa intesa va nella direzione di una conquista della convivenza e del bilinguismo”. Ora, come possa il bilinguismo essere “conquistato” eliminando una delle due lingue (e guarda caso proprio quella della nazione a cui la provincia di Bolzano, fino a prova contraria, appartiene) questo Del Rio non ce lo spiega.
Il problema è ovviamente complesso e attiene a questioni storiche e giuridiche. Proviamo a semplificarle.
Finita la seconda guerra mondiale il destino dell’Alto Adige, che apparteneva all’Italia pur avendo una popolazione a maggioranza tedesca, fu risolto a margine della Conferenza di Parigi; la stretta di mano tra Alcide De Gasperi e il ministro degli esteri austriaco, Karl Gruber, sancì, almeno apparentemente, la fine del contenzioso su questa regione: l’Alto Adige rimaneva all’Italia, ma l’Italia s’impegnava a tutelare la popolazione di lingua tedesca introducendo il bilinguismo, consentendo l’insegnamento del tedesco nelle scuole e autorizzando il rientro degli Optanten, quei tedeschi che durante il nazismo avevano rinunciato (optato) alla cittadinanza italiana trasferendosi in Germania. Ma la questione altoatesina continuò negli anni successivi a fronte del sorgere del terrorismo dei gruppi oltranzisti sudtirolesi e delle accuse austriache di non rispettare l’accordo di Parigi; accuse che arrivarono persino a scomodare l’Onu che all’inizio degli anni ’60 dovette emanare due risoluzioni (la 1497 e la 1661) per dire sostanzialmente ad Italia ed Austria: “vedetevela da soli e non disturbate troppo”.
La questione sembrò trovare una sua definiva mediazione nel 1972, quando è stato promulgato lo Statuto speciale di autonomia per il Trentino Alto Adige (divenuto Legge Costituzionale nel 2001) che ha sancito “l’obbligo della bilinguità nel territorio della provincia di Bolzano”e ha specificato che “nella regione la lingua tedesca è parificata a quella italiana che è la lingua ufficiale dello Stato”.
E’ possibile che il ministro Delrio e coloro che lo hanno consigliato a firmare l’accordo, non fossero a conoscenza di tutto questo?
La cancellazione di 135 nomi italiani è un atto di gravità assoluta che genera un precedente pericoloso nei rapporti con la comunità tedesca. Attraverso di esso il governo Letta riconosce un diritto di monolinguismo (tedesco) in Alto Adige. Paradossalmente, il governo italiano ha violato i patti di Parigi contro se stesso. Ora potrebbero essere i cittadini di lingua italiana a rivolgersi all’Onu affinché l’Italia rispetti il loro diritto al bilinguismo. Una follia che rasenta il comico, nella tragicità di un atto anti-costituzionale che non rispetta la nostra identità nazionale.
L’endocrinologo di Reggio Emilia diventato Ministro degli Affari Regionali, così come l’oculista del Congo che vuole lo “ius soli” (ma paragona il burqa islamico al velo delle suore cattoliche), sono due facce di una stessa medaglia: quella di una classe politica che sembra incapace di comprendere la differenza tra interessi nazionali e battaglie ideologiche.
Il paradosso è che mentre il governo Letta rinuncia all’italiano in Alto Adige, l’Europa riconosce la nostra lingua a livello continentale accogliendo il ricorso italiano contro l’uso esclusivo di inglese, francese e tedesco, nei bandi pubblici Ue; uno smacco per un governo che fa dell’obbedienza cieca all’Europa, la sua ragione d’esistere. Il Tribunale del Lussemburgo ha imposto in futuro che l’italiano e le altre lingue comunitarie siano inserite nei bandi dei concorsi, per evitare “una disparità di trattamento sulla base della lingua” vietata dalla Corte dei Diritti fondamentali. Disparità di trattamento che, invece, Delrio e il governo Letta hanno imposto agli italiani in Alto Adige.