da secoloditalia.it
La Primavera di Praga, la repressione sovietica, la speranza di un popolo, il sangue di chi aveva avuto il coraggio di opporsi. Immagini per decenni rubate, pagine spesso strappate dai libri di storia, come quelle delle foibe, come tutte quelle che non erano “politicamente corrette”. E la foto di un giovane che, qui in Italia, era affissa solo nelle sezioni del Msi, come tutte le foto di chi era andato incontro a un sacrificio su cui era sceso il silenzio. Quel giovane era Jan Palach: nel tardo pomeriggio del 16 gennaio 1969 si recò nella piazza centrale di Praga, si fermò ai piedi della scalinata del Museo Nazionale. Si cosparse il corpo di benzina e si appiccò il fuoco con un accendino. Un gesto estremo, l’ultimo atto per ribellarsi al comunismo e all’oppressione. Diventò un simbolo, fu considerato un martire da tutti gli antisovietici, in Italia la Compagnia dell’Anello – gruppo di musica alternativa – volle dedicargli un brano che diventò un inno dei giovani di destra. Ma tutt’intorno nulla, il bavaglio, i depistaggi, le ricostruzioni fantasiose per gettare fango, le menzogne del governo, il tentativo di addossare le colpe a ipotetici servizi segreti stranieri. Ma la verità non si cancella e per la prima volta la drammatica vicenda di Palach viene raccontata in una fiction:Burning Bush, film in tre parti, diretto da Holland, sta riscuotendo un enorme interesse. Molto apprezzato in patria, è destinato a diffondersi a macchia d’olio ed è stato mostrato al Miptv di Cannes, mercato-principe dell’audiovisivo. La figura di Jan Palach riemerge ed è stato necessario un tempo infinito perché se ne parlasse: il giovane eroe fu rivalutato solo dopo il crollo del comunismo e la caduta del Muro di Berlino, nel ’90 il presidente Havel gli dedicò una lapide per commemorare il suo sacrificio in nome della libertà e gli è stata intitolata la piazza al centro di Praga, quella che era dedicata all’Armata Rossa. Dopo decenni di silenzi colpevoli.