da corriere.it
Nell’Aeronautica
militare italiana era una specie di leggenda: l’ultimo degli «assi» - e
a detta di tanti il migliore - del cielo. Luigi Gorrini, questo il
suo nome, si è spento a Piacenza, all’età di 97 anni. Durante la
Seconda guerra mondiale abbattè 24 aerei, a sua volta fu abbattuto 5
volte, lanciandosi con il paracadute e restando vivo, nonostante gravi
ferite, grazie a circostanze che ebbero del miracoloso. Atterrando su
stagni e chiome di alberi che attutirono la violenza dell’impatto.
«Con Salò perché volevo difendere le città dai bombardamenti»
Meglio
chiarirlo subito: gli aerei abbattuti erano tutti inglesi e americani,
Spitfire, Mustang, Lightning, Fortezze volanti. Perché dopo l’8
settembre Gorrini, senza esitazioni, lasciò la Regia Aeronautica per
volare sui caccia della Repubblica Sociale di Salò. Un’adesione
spiegata così: «Dopo aver volato per tre anni fianco a fianco con i
piloti tedeschi, sulla Manica, in Nord Africa, Grecia, Egitto, Tunisia e
- infine - sulla mia patria, avevo fatto amicizia con alcuni di loro...
non volevo fare la banderuola, per dire così, e forse sparare sui miei
amici tedeschi. Inoltre, volevo proteggere le città del Nord Italia dai
bombardamenti indiscriminati, per quanto possibile».
Ufficiale solo dopo la pensione
Gorrini
entrò in Aeronautica giovanissimo. Pilota sottufficiale. Ufficiale lo
diventò soltanto dopo la pensione, nel 1979. Finita la guerra, era
rientrato nei ranghi dell’Aeronautica militare nonostante l’opposizione
iniziale del comando alleato, che non aveva dimenticato come l’aviatore
italiano pareva aver fatto quasi un fatto personale di quei duelli in
cielo contro i caccia di Raf e Air Force. Volando con le insegne di
Salò, Gorrini abbattè diversi bombardieri in missione nel Nord Italia.
«Inventò» una tecnica di attacco che gli valse l’ammirazione della
Luftwaffe dalla quale ricevette anche due Croci di guerra. In sostanza,
superava la quota di volo dello stormo avversario per poi buttarsi giù
in picchiata a tutta velocità, quasi come un kamikaze, individuando il
bersaglio che cercava di colpire avendo a disposizione solo una
manciata di secondi. Manovra che terrorizzava i mitraglieri avversari ma
che per il pilota era rischiosissima, aumentando il rischio collisione
con i bombardieri.
Medaglia d’oro nel 1958
Nel
1958, conflitto finito, dall’Aeronautica - che oggi in una nota
«esprime il cordoglio per la morte dell’ultimo grande Asso» - ricevette
una medaglia d’oro, unica decorazione concessa a un militare di Salò.