da secoloditalia.it
«Faccio un appello molto forte alla procura perché non si rassegni: non è un problema solo delle famiglie o delle singole parti politiche ma della città. Non ci possiamo rassegnare a mezze verità, dobbiamo continuare, non solo a ricordare, ma anche a invocare giustizia». Lo ha detto il sindaco di Roma Gianni Alemanno dopo aver deposto una corona d’alloro davanti al civico 10 di via Federigo Tozzi, nel quartiere Talenti dove, il 12 marzo del 1980 il segretario della sezione locale del Msi, Angelo Mancia, fu ucciso all’età di 27 anni. Per Alemanno, che ha raccontato di averlo conosciuto personalmente, «fu vigliaccamente aggredito, e di tanti omicidi avvenuti a Roma forse questo è quello su cui non c’é mai stata una pista né una traccia. Eppure sono convinto che per questo omicidio e per tutti quelli degli anni di piombo, scavando qualcosa può ancora saltare fuori». Alla cerimonia erano presenti anche la sorella di Angelo, Francesca e il presidente del IV municipio, Cristiano Bonelli.
Angelo Mancia era un attivista del Msi molto conosciuto a Roma. Fu assassinato la mattina del 12 marzo di 33 anni fa in quella che fu una vera e propria esecuzione. Era il segretario dell’attivissima sezione del Msi di Talenti di via Martini, zona dove abitava in via Federigo Tozzi 10. Angelo era il primo di tre figli di una famiglia che aveva un esercizio commerciale alimentare. Era più grande di otto anni rispetto ai suoi fratelli, due gemelli, Francesca e Luciano, rispetto ai quali era molto protettivo, da bravo fratellone maggiore. Sì, perché Angelo era conosciuto a Roma soprattutto per il suo carattere estroverso, allegro, un po’ guascone. Era sempre pronto a offrire (o a farsi offrire) un ”baby” in piazzale delle Muse o da Giovanni, negli anni Settanta luoghi di ritrovo dei giovani di destra. Amava le moto, la musica, la pesca subacquea ma soprattutto la politica, questo attivismo esasperato 24 ore su 24 che in quegli anni caratterizzava i “fortini” missini nella capitale. Era amico di tutti, dal vigile urbano all’angolo di piazza Talenti al barista del bar Parnaso ai Parioli, e con tutti riusciva a stabilire un ottimo rapporto. Non era antipatico a nessuno, nell’ambiente. Tra gli avversari politici le cose cambiavano: in quegli anni, e anche adesso stando agli ultimi fatti di cronaca, essere di destra non era consentito, non era consentito non solo esprimersi ma neanche esistere: uccidere un fascista non era reato. E per Angelo e per molti altri è stato proprio così: dopo 33 anni i suoi assassini sono rimasti impuniti, anche se qualche mese fa la magistratura ha riaperto le indagini su diciotto omicidi politici degli anni di piombo rimasti impuniti, tra cui oltre a quello di Mancia anche a quello di Valerio Verbano, giovane di Autonomia operaia assassinato in circostanze atroci e di Stefano Cecchetti, ucciso da un commando rosso perché era davanti a un bar considerato ritrovo di fascisti, propria a Talenti. Le modalità dell’assassinio di Mancia fanno riflettere: due killer in camice bianco, come gli infermieri o i medici, hanno atteso Angelo sotto casa sua tutta la notte a bordo di un pulmino azzurro. Quando il giovane 27enne è uscito di casa come tutte le mattine per andare a lavorare alSecolo d’Italia, è stato colpito da alcuni colpi di pistola. Ha tentato di fuggire verso il portone di casa, che però si era chiuso dietro di lui. Raggiunto, uno dei killer lo ha finito con un colpa alla nuca. I due terroristi si sono poi dileguati su una mini minor rossa con a bordo un terzo complice che li ha portati via. Sempre una mini minor, però verde, era quella da cui due anni prima spararono, sempre nella zona, assassinando Stefano Cecchetti. Due ore dopo arrivò la rivendicazione aRepubblica: «Qui compagni organizzati in Volante Rossa. Abbiamo ucciso noi il boia Mancia. Siamo scesi da un pulmino posteggiato lì davanti». Ora, per chi non lo sapesse, il nome è stato ben scelto: la vera Volante Rossa era un gruppo di criminali che dal 1945 al 1949 insanguinarono l’Italia del Nord con omicidi politici particolarmente efferati, tali da spingere lo stesso Pci, che in un primo tempo l’aveva sostenuta, a prenderne le distanze. Ciò però non impedì ad alcuni esponenti comunisti di favorire la fuga in Cecoslovacchia di membri della Volante sotto processo. Tra i vari omicidi dei partigiani della Volante Rossa, ricordiamo quello del 4 novembre 1947 di Ferruccio Gatti, responsabile milanese del Msi. Il nome probabilmente fu scelto per dare una continuità per così dire ideale al gruppo di fuoco. Il processo contro la Volante Rossa nel 1951 si concluse con 4 ergastoli, ma tre degli imputati erano già fuggiti, mentre il quarto scontò la pena fino al 1971 quando fu graziato dal presidente Saragat. Gli altri tre, invece, ricevettero la grazia da Sandro Pertini nel 1978. I suoi funerali, in piazza Esedra, furono un po’ movimentati, con cariche della celere contro i giovani di destra. Come la vita di Angelo.