da secoloditalia.it
28 febbraio 2015.
I gravissimi scontri che l’estrema sinistra sta scatenando in queste ore a Roma, per impedire la libertà di parola, ci riportano alla mente gli anni Settanta, esattamente il 1975, quando in questo giorno teppisti criminali dei collettivi comunisti tentavano nello stesso modo di ostacolare la libertà di parola e di espressione ai giovani missini.
Quel giorno uccisero un giovane greco, Mikis Mantakas, venuto da Atene per studiare Medicina.
Era andato inizialmente all’ateneo di Bologna, ma aveva subito un’aggressione dai gruppettari di sinistra per le sue simpatie missine ed era stato quaranta giorni in ospedale. Venuto a Roma, aveva iniziato a frequentare la sede del Fuan di via Siena, l’organizzazione universitaria missina. E qui aveva stretto amicizia con molti giovani che la pensavano come lui.
Quel giorno aveva deciso di andare al tribunale di piazzale Clodio per seguire il processo a Lollo, Clavo e Grillo, militanti di Potere Operaio che avevano bruciato vivi i fratelli Mattei a Primavalle per odio politico.
Le notizie seguenti sono state tratte nel volume di inchiesta “Da Primavalle a via Ottaviano”, realizzato dai giornalisti del Secolo d’Italia Gianni Amati e Roberto Rosseti. Il 24 inizia al tribunale penale di Roma a piazzale Clodio il processo Primavalle.
Solo Achille Lollo è in carcere, mentre Marino Clavo e Manlio Grillo sono latitanti.
Da due anni sinistra, giornali e tv scatenano la piazza contro il processo e contro il Msi. Si distingue il collettivo di via del Volsci, ossia i Comitati autonomi operai, organismo inserito nello schieramento formato dai collettivi del Policlinico, quello dell’Enel, dal collettivo di Fisica, da Potere Operaio e da Avanguardia Comunista, nella quale erano confluiti i gruppi Lotta Comunista e Viva il Comunismo.
Sin dalle prime ore della mattina del 24 febbraio gli extraparlamentari tentano di venire a contatto con i giovani di destra che sono fuori dal tribunale. Alle 10,30 il Collettivo di Fisica guida il primo corteo che lancia sassi e sei molotov contro la Celere, che carica e lo disperde. Alle 14 finisce l’udienza. Il bilancio è tre poliziotti, un giovane di destra e due passanti feriti. In mattinata muore per infarto il dirigente della polizia Pietro Scrofana, vittima dimenticata del dovere e dei comunisti.
Le sinistre mobilitate da tutta Italia per il processo Primavalle
Il 25 Prosegue la mobilitazione delle sinistre da tutta Italia.
Alle 8,30 i comunisti cercano di vietare l’ingresso ai fascisti in tribunale e si accende uno scontro, subito sedato dalla polizia. Dentro l’aula tafferugli e grida “Lollo libero”, ma il tumulto viene sedato con una certa energia dall’allora maggiore dei carabinieri Antonio Varisco, che qualche anno dopo sarà assassinato dalle Brigate Rosse.
Fuori dal tribunale proseguono gli scontri tra gruppettari e celerini. Il giorno successivo, il 26, Lotta continua e i collettivi invitano tutti ad andare venerdì 28 a piazzale Clodio. Il 27 Lotta Continua e il Quotidiano dei Lavoratori (di Avanguardia Operaia) pubblicano le foto dei missini davanti a piazzale Clodio e invitano ad andare il giorno dopo davanti al tribunale.
E siamo arrivati al 28 febbraio.
Già dalle sei di mattina arrivano davanti al tribunale tutti i collettivi di Roma e anche da fuori Roma equipaggiati per la guerriglia urbana. A quell’ora ancora non ci sono le forze dell’ordine, solo una jeep della Celere. Alle 6,30 quattro ragazzi del Fronte parcheggiano la macchina e si avviano verso il tribunale, ma vengono affrontati da un gruppo di autonomi armati che controllavano tutti gli accessi a piazzale Clodio. Riconosciuto il capo attivisti del FdG, uno degli aggressori gli spara tre colpi calibro 7,65, ma senza colpirlo.
I missini concordano sul fatto che gli aggressori fossero toscani. Poi si saprà che i compagni erano venuti da tutta Italia per difendere Lollo, che aveva bruciato un bambino e un giovane di 22 anni. Alle 6,45, i giovani di destra si incolonnano nelle transenne per entrare in tribunale, ma improvvisamente, da tre parti diverse, arrivano un centinaio di gruppettari che iniziano a bastonare i giovani anticomunisti, uno dei quali riporta la rottura di un braccio col quale cercava di ripararsi. Un altro missino viene colpito da un colpo di pistola alla gamba e altri vengono feriti. I missini riescono a entrare in tribunale e a chiudere le porte. I compagni allora iniziano una sassaiola che manda in frantumi i vetri dei primi due piani del tribunale.
Prima delle sette del mattino gli extraparlamentari hanno già sparato due volte. Nell’antisala del tribunale c’è uno scontro tra un giovane del Fronte e un extraparlamentare, che risulterà essere Alvaro Lojacono. In suo favore interviene il parlamentare comunista Umberto Terracini, che fa parte del collegio di difesa degli imputati per Primavalle. Verso le 11,30 si accendono incidenti in tutto il quartiere, e in particolare alcune centinaia di attivisti comunisti ingaggiano scontri con la polizia.
Contestualmente un’altra ottantina di attivisti si disperde nelle strade laterali dirigendosi verso piazza Risorgimento dove c’è la sezione del Msi, clamorosamente non sorvegliata. Nel frattempo viene assaltata con bombe molotov la Rai di via Teulada, invece ben vigilata dalle forze dell’ordine. Seguono due ore di guerriglia urbana in tutta la zona.
Alle 12,45 i militanti di via del Volsci individuano e assaltano un’auto civetta della polizia: la macchina è colpita con spranghe, una molotov la incendia e i tre occupanti vengono massacrati dai comunisti. Arriva un altro poliziotto, di nome Gigante, su un’altra vettura. Scende con la pistola in pugno per salvare i suoi colleghi. I compagni gli puntano addosso sei o sette pistole e riescono ad allontanarsi. Successivamente questo gruppo di fuoco da via Campanella, dove è successo il fatto, va a via Ottaviano e alle 13,15 arriva nei pressi della sede del Msi in piazza Risorgimento.
Sono un centinaio, armati, mentre i missini poco più di una ventina, disarmati. Le forze dell’ordine sono assenti, i missini sono in sede, e nessuno si avvede dell’avvicinamento. Partono le bottiglie incendiarie che alzano un muro di fiamme tra l’ingresso della sezione e il portone dello stabile.
Centinaia di colpi di pistola contro i giovani missini
Nel trambusto vengono poi sparate revolverate contro i missini, una decina dei quali va verso l’angolo tra via Ottaviano e piazza Risorgimento: ma i gruppettari, tra cui Lojacono, li aspettavano e cinque pistole aprono il fuoco contro di loro. Le fonti ufficiali non hanno mai rivelato quanti colpi furono esplosi, ma testimoni affermano che furono centinaia e sparati da almeno cinque persone nella posizione del tiratore scelto, con una mano dietro la schiena e le gambe leggermente piegate.
Per proteggersi la fuga lanciano altre bottiglie molotov.
A quel punto i missini si accorgono che uno di loro è ferito, e gravemente, lo soccorrono, lo trascinano dentro il portone, ma avviene il secondo assalto dei collettivi. I missini si difendono con un martello, un manico di piccone e una lanciarazzi, che fa sospettare ai compagni una trappola e che li induce a ritirarsi. I pochi missini comunque riescono a respingerli, sparando con la lanciarazzi, e a chiudere il portone, nascondendo Mantakas, che nel frattempo era stato lambito dal fuoco di una molotov e ormai privo di conoscenza, dentro un box privato nel cortile dello stabile.
Con lui, a vegliarlo, il giovane coraggioso Stefano Sabatini, della sezione Prati, che chiude dall’interno la porta del box, e Paolo Signorelli, aggredito insieme con il figlio appena qualche giorno prima in corso Trieste.
Frattanto gli aggressori, servendosi anche di un segnale stradale divelto, sfondano il portone: i giovani missini si rinchiudono nella sezione. I collettivi arrivano nel cortiletto, sentono il rumore della porta del box che si chiude e sparano contro il box accanto a quello dove era Mantakas, pensando che i missini fossero lì, poiché era il più vicino al portone.
Nel frattempo arrivano altri cinque o sei missini che vengono fatti segno da colpi di pistola: il 17enne Fabio Rolli è ferito al fianco e i comunisti ne approfittano per fuggire, non senza aver ferito un passante in moto che viene colpito al polmone. Sono trascorsi 15 minuti dall’inizio dell’attacco armato alla sede e né polizia né carabinieri si sono fatti vedere. Due del commando, armati, presso piazza Risorgimento sparano contro il poliziotto Di Iorio, del commissariato Borgo, che aveva tentato di fermarli, ma non lo colpiscono.
Fuggono e si dividono, e Di Iorio ne segue uno che si infila in un portone, per uscirne qualche minuto dopo disarmato e senza soprabito. Il poliziotto lo ferma, e viene bersagliato da colpi da parte dell’altro fuggitivo, che poi si allontana rapidamente. La polizia trova nell’androne il soprabito con una pistola ancora calda: è Fabrizio Panzieri, 26 anni, ex Potere Operaio ora Avanguardia Comunista, vicino ai collettivi di Fisica e a via del Volsci.
A piazza Risorgimento arrivano i soccorsi, dieci minuti dopo la fine dell’assalto. Un’ambulanza dei Vigili del fuoco carica Mantakas e lo porta al Santo Spirito da dove sarà trasferito al San Camillo e sottoposto a una difficilissima operazione.
Ma dopo l’intervento, alle 18,30, il giovane cessa di vivere.
Altri cinque minuti dopo, dalla fine dell’assalto è passato oltre un quarto d’ora, arrivano le prime volanti e altre ambulanze. Inizia allora uno spettacolare e inutile carosello delle Alfa Romeo delle forze dell’ordine in piazza Risorgimento, che aumenta la confusione generale senza approdare a nulla. Inspiegabilmente il ministero degli Interni tenta di minimizzare la situazione, smentito però più volte dalle notizie dell’Ansa. Il giorno dopo, 1° marzo, tardivamente, si inviano a piazzale Clodio per la terza udienza mille tutori dell’ordine, mentre le indiscrezioni sugli arresti si moltiplicano.
Si apprende il nome di Lojacono come secondo indagato, dopo Panzieri.
Il 2 si apprende che Mantakas, Rolli e il passante sono stati colpiti da tre calibri diversi.
Dai fori nelle vetrine e nelle auto poi si capisce che almeno cinque pistole diverse hanno sparato a piazza Risorgimento. Gli inquirenti affermano che le persone coinvolte nell’inchiesta sono tre, ma del terzo poi non si sentirà mai più parlare. Anche dei cinque arrestati per aggressione alle forze dell’ordine e lancio di bottiglie incendiarie, non si parlerà più.
Tra l’altro, diverse testimonianze concordano sul fatto che l’aggressione degli extraparlamentari è stata tutta ripresa da uno di loro con una cinepresa, sparatoria compresa. Lo stesso accadde in un assalto alla sezione Monte Mario del Msi.
Chi sa dove sono oggi quei filmini?
Disordini anche durante i funerali
Il 3 marzo si registrano gravi violenze a largo Argentina durante la cerimonia funebre per Mantakas.
A Santa Maria sopra Minerva dove c’è la cerimonia in memoria dello studente greco, confluiscono migliaia di missini, e nelle zone circostanti extraparlamentari di sinistra girano in cerca dello scontro fisico.
Dopo le 16, l’auto con a bordo Teodoro Buontempo, un altro dirigente del Fronte e una ragazza, viene individuata da esponenti del Pdup-Manifesto che la assaltano a colpi di spranga e martello infrangendone i vetri.
Tornano sull’auto e cercano di fuggire sotto una pioggia di sassi, ma il traffico non lo consente.
L’autista è colpito da una sprangata alla testa: le urla della gente e i clacson delle macchine inducono gli aggressori e indietreggiare verso via Monterone, sede del Pdup, sparando però 5 o 6 colpi di pistola contro i missini.
Alle 22 perquisizione a via del Volsci, dove viene arrestato un extraparlamentare armato.
Il mandato di perquisizione era già pronto dal 28 febbraio, ma venne eseguito solo dopo tre giorni.
Davanti al liceo Plinio verso piazza della Croce Rossa compare la scritta “10, 100, 1000 Mantakas”.
Emessi due mandati di cattura per Panzieri e Lojacono per concorso in omicidio e tentativo di omicidio.
Almeno tre calibri diversi nella sparatoria, ma solo due indagati. Del terzo, che si era detto appartenente a via del Volsci, nessuna notizia. Nei giorni successivi via dei Volsci fa uscire volantini dal tono violento nei confronti sia dei missini sia delle forze dell’ordine, incitando alla giustizia proletaria “distruggendo le carogne nere”.
La stampa dell’allora regime, guidata dal solito Messaggero, cerca imbastire una pista nera anche per Mantakas, ma il tentativo si infrange miseramente.
Paese sera manda persino un volenteroso inviato in Grecia, che ovviamente non riesce a scoprire nulla.
Oggi il bar Penny di via Pavia è chiuso da anni, il Fuan non c’è più, Mantakas è morto da quarant’anni.
Ma l’odio politico della sinistra estrema resiste ancora: ne abbiamo la prova proprio in queste ore.