martedì 24 febbraio 2015

Contro l’anglofonia, l’Italia alza la Testa. Con la maiuscola.



da destra.it

Ora lo dice anche l’Accademia della Crusca: basta con l’anglofonia. Basta con le “mission”, i “rating”, le “vision” e i “break even point”. Basta. Il Paese di Dante, Petrarca e Boccaccio non ne ha bisogno. 

E basta lo dice anche Annamaria Testa, che ha lanciato una raccolta firme via internet (sul sito change.org) proprio a tal proposito. 
Bene, bravi, bis.
Se a Firenze è nata la lingua italiana è forse un segno del destino che da Firenze parta la sua riscossa. Ma come la mettono gli accademici della crusca con quel loro illustre concittadino che di nome fa Matteo e di cognome Renzi?

Già perché il premier è il primo a dare il cattivo esempio. Uno che chiama le leggi in inglese (“jobs act”), uno che riempie la sua comunicazione di neologismi anglofoni o pseudotali. L’uomo che cita nei discorsi pubblici gli “smartphone” e i “tweet”. Che poi, a dirla tutta, fosse un tipo cosmopolita e a suo agio con l’inglese sarebbe anche comprensibile. Ma dato che così non è (i video dei suoi discorsi nella lingua di Sua Maestà parlano da soli, ndr), questo suo modo di esprimersi desta una certa tristezza.

Tristezza perché questo modo di fare è l’emblema di un’Italia che non cambia verso per nulla. Che continua a stare agganciata al suo ruolo di piccola colonia balneare del grande impero americano e occidentale. Un’Italia che sogna New York dal cortile di un paesello in Valdarno. Un atteggiamento questo che va oltre la lingua. Le assurde sanzioni alla Russia, per fare un esempio, ne sono la riprova. Ma anche i brutti grattacieli di stile apolide che compaiono ormai ovunque: da Milano a Roma.

Eppure questo Paese non ha nulla da invidiare a nessuno. Ne agli americani, ne ai famosi Paesi “civili” del nord Europa. I cui abitanti però, come ci insegnano i tifosi del Feyenord, dopo qualche birra tanto civili non sono più. Noi italiani, insomma, non abbiamo bisogno di guardare oltre confine. E non è di certo necessario spiegare il perché. È il nostro passato, sono le nostre radici che dobbiamo riscoprire se vogliamo avere un futuro. E quindi ben vengano queste prese di coscienza. Nella lingua ma non solo.

Anche in politica. Perché, per quanto ispirino comprensibilmente approvazione, non possiamo continuare a dire che “ci vorrebbe un Putin o una Le Pen”. No, noi siamo italiani e dobbiamo farcela da soli. Come abbiamo sempre fatto. 

Senza bisogno di copiare nessuno. Semmai prendendo ispirazione, ma per poi creare qualcosa di unico e di meraviglioso. 

Come solo noi sappiamo fare. 
Perché noi siamo italiani. 

E non prendiamo lezioni. 
Da nessuno.