Giampaolo Rossi
Marine Le Pen entrò in politica all’età di 8 anni, come ricorda lei, “nel modo più violento, più crudele, più brutale”; c’entrò quando la notte del 2 Novembre del 1976 venti chili di dinamite fecero saltare in aria il palazzo dove abitava con la sua famiglia e solo per un miracolo non ci furono vittime. La bomba seguiva di pochi giorni il congresso del Front National di cui suo padre era il presidente. Ed è lei stessa a ricordare che “fu quella notte di orrore a farmi scoprire che mio padre faceva politica”.
Per 35 anni il Front National è stato un ciclico protagonista della politica francese. Ghettizzato come espressione di una destra razzista e xenofoba (e in parte lo è stata), è sopravvissuto all’emarginazione, all’isolamento e all’odio sia della gauche francese e dei suoi inutili intellettuali, sia di quelli che Marine Le Pen definisce con disprezzo “i borghesi dell’Ump”.
Ha ottenuto risultati eccezionali, come quando alle elezioni presidenziali del 2002 suo padre Jean Marie escluse i socialisti dal ballottaggio costringendoli a votare compatti l’odiato Chirac per impedire che un Le Pen diventasse Presidente della Repubblica.
Da due anni Marine ha preso il posto del padre ed il Front National gode di una nuova ed incredibile popolarità. Sui media europei ha fatto scalpore il recente sondaggio di Nouvelle Observateur, che lo dà primo partito in Francia; confermato qualche giorno fa dalla vittoria a Brignoles, nel sud della Francia, dove il candidato lepenista ha stravinto con il 40%, doppiando il partito di Sarkozy e azzerando la sinistra.
Perché la novità è questa: Marine Le Pen pesca il consenso a piene mani non solo nel tradizionale bacino elettorale di destra ma ora anche e soprattutto nelle classi popolari più esposte al dramma della crisi e più consapevoli, perché vissuto sulla propria pelle, dell’imbroglio di un’Europa che ha imprigionato le economie nazionali nella schiavitù del debito.
Suo padre, Jean Marie, fu il primo leader politico europeo a porre con forza il problema dell’immigrazione: il mito del multiculturalismo non avrebbe dato vita ad un mondo arcobaleno ma avrebbe messo in crisi le società europee sfaldandone identità, coesione sociale e generando conflitti irriducibili. Oggi ci accorgiamo che l’analisi di Le Pen aveva un suo fondamento: dai tribunali della Sharia in Inghilterra che mettono in discussione la laicità del diritto britannico, alle rivolte nelle periferie islamizzate delle città del nord Europa, al crescere di un integralismo in casa nostra che produce manovalanza per il terrorismo internazionale.
Ora Marine somma alla lotta all’immigrazione, la battaglia contro Euro e Unione Europea: “io non combatto l’Europa, ma l’Ue, le sue politiche, la sua architettura, il suo Dna, i suoi progetti”, al servizio “non dei popoli ma dei mercati, dei banchieri e delle lobby”.
Marine fa più paura di suo padre. Il Front National di ieri era un partito che si baloccava tra i ricordi dell’Algeria e i reduci di Vichy, mentre quello di oggi, ripulito dai soggetti più reazionari e dagli ambienti più estremisti, ha rinnovato a tutti i livelli la sua classe dirigente ed ha aperto alla società civile, ai giovani e alle donne; reclama la piena laicità dello Stato; sfonda persino tra i francesi immigrati di seconda e terza generazione. Ha promesso che quando (non se) vincerà le presidenziali farà un referendum sull’Euro. Quanto basta per terrorizzare i padroni della moneta. Nei giorni in cui i sondaggi francesi facevano tremare i circoli di Bruxelles, Mario Draghi è intervenuto precisando che “l’Euro è irreversibile”. Più o meno come la morte.
Marine Le Pen dimostra una cura ossessiva per la parola e il potere evocativo che essa racchiude. Qualche giorno fa ha affermato che è disposta a querelare i media e i giornalisti che useranno il termine “estrema destra” per definire il suo partito: “noi non siamo né di destra né di sinistra. Noi siamo un movimento nazionale”.
Alla demonizzazione del mainstream lei risponde con una strategia di de-diabolisation (de-demonizzazione) chiara ed efficace: ha capito che un politico non deve parlare ai media, ma ai francesi. E loro la stanno ascoltando.