venerdì 28 aprile 2017

Meloni a «La Verità»: «Voglio vincere per non consegnare l’Italia alla follia grillina o alla restaurazione renziana»



da giorgiameloni.it

L’intervista di Luca Telese.


«La Francia non è l’Italia. Io sono italiana, cerco risposte per l’Italia. Però la Francia è un grande Paese europeo, ci ha dato una indicazione importante: ha dimostrato che i partiti tradizionali non esistono più, che l’asse destra sinistra non risponde ai problemi della realtà, che gli elettori francesi dicono No alle politiche di restaurazione: questa per noi è una indicazione importante, utile per vincere le elezioni a casa nostra». A tratti, quando parla del voto per l’Eliseo, Giorgia Meloni sbuffa. In questi giorni si è impegnata in un sorprendente lavoro di mediazione tra Berlusconi e Salvini (e oggi spiega perché). Non gli piacciono gli esterofili, dice, detesta i «macroniani della domenica sera». Spiega che su quel dato elettorale si è fatta «propaganda», aggiunge perché secondo lei la partita italiana per il centrodestra «è aperta».

Onorevole Meloni, borse e mercati festeggiano il risultato del primo turno in Francia. «Ah sì?». Dicono che se sono stati fermati i populisti a Parigi saranno fermati anche a Roma. Sorriso. «Io non mi definisco populista, semmai sono sovranista, e con orgoglio. Ma se populista è un modo per associarci alla Le Pen ed esorcizzarci, non mi sottraggo».
Cosa si può dire a mente fredda dopo le prime analisi fatte a caldo? «Un fatto è innegabile: i francesi hanno distrutto i partiti tradizionali. Non era mai successo che fosse contemporaneamente fuori dal ballottaggio sia gollisti che socialisti».
Cosa significa? «Una cosa che ripeto da tempo anche in Italia. Le vecchie geografie politiche non esistono più». Cioè? «Io sono una persona con una storia di destra convinta che le categorie destra e sinistra siano inadeguate a rappresentare questo tempo: oggi, a maggior ragione, la partita è alto contro basso, grande contro piccolo, globalizzazione contro nazioni, centro contro periferie, mercati finanziari contro mercati rionali».

Renzi ha tirato un sospiro di sollievo, dopo questo voto, però. «Davvero? Qualcuno dovrebbe spiegargli che lui non è il Macron italiano, come vorrebbe far credere. Semmai Renzi è l’Hollande italiano, il potere costituito che la gente non vuole». Perfida. «No, semmai analitica». Ma Hollande non si è nemmeno ricandidato! «Vero. E dopo il referendum Renzi avrebbe fatto bene a seguire l’esempio. Con i suoi insuccessi Hollande ha portato il Partito Socialista al 6%».

Questo che significa? «Il Pd è oggi in una crisi di strategia e di consensi simile. Sul nuovo asse politico che ho descritto sta sempre dalla parte dei più forti». Esempio? «La sinistra radical chic ha scoperto il problema degli sbarchi solo il giorno in cui sono stati assegnati 20 profughi a Capalbio». Addirittura. «È storia. Fino all’estate scorsa eravamo solo noi brutti, razzisti e cattivi a sollevare il problema: poi quando gli immigrati se li sono ritrovati davanti alle loro case di lusso a Capalbio, il sindaco de Pd ha levato gli scudi dicendo che accogliere gli stranieri svalutava le case e rendeva il clima invivibile. Ma dai! Pensi a Tor Sapienza lo sapevano da anni, che li di centri per l’accoglienza ce ne sono 12 e del problema della svalutazione delle case non frega a nessuno».

Si è appassionata al confronto delle primarie? «Ho adorato Emiliano quando Renzi gli ha detto: “Prometti che se vinco non mi farai opposizione?”. E lui: “No”, secco. Renzi ci è rimasto di sasso. Ma è letteratura per addetti ai lavori. Il confronto era di una noia mortale». Secondo lei chi ha vinto il confronto? «La pubblicità». Perché lei dice che in Francia si è votato contro la restaurazione? «Perché i cosiddetti populisti Le Pen, Mélenchon e Dupont-Aignan, che ha preso poco meno del 5% con un partito sovranista di desta anti-euro, insieme hanno il 51%. Non solo…». Cosa? «Molto dei voti di Fillon, un altro 20%, sono stati conquistati con una campagna tutta a destra, fondata su parole come ordine e sovranità. Dove andranno ora?».

Non le piace Macron? «Ha un tratto in comune con alcuni dirigenti della sinistra italiana: è un socialista che cerca di far dimenticare di esserlo stato. Con l’aggravante di non essere solo un fiancheggiatore dei banchieri, ma direttamente un banchiere». Riuscirà a cambiare pelle? «Ha basato la sua campagna sullo slogan “bisogna ricostruire l’Europa”. Quando lo dicevo io mi davano della sfascista».

Quindi avete la stessa idea? «No. Perché luì lo dice strumentalmente, per prendere voti da chi è stanco dell’Europa e portarli al servizio degli usurai a capo dell’Unione. Del resto mentre l’Europa veniva asservita a questi signori lui non era nelle piazze ma al governo come Hollande. Il modello italiano più vicino a lui è Monti: sarà un bel ballottaggio».

Perché? «Ho visto la La Pen davanti alla fabbrica in crisi dire ai lavoratori che se dovesse vincere salverebbe quella fabbrica, applaudita. E invece Macron spiegare loro che il mercato produce questi effetti inevitabili, fischiato». Vede che è populista? «Certo. Se la partita è, come è, tra restaurazione e rivoluzione, contro la dittatura di finanza e speculazione, non ho dubbi da che parte stare». Quale? «Quella del mio interesse nazionale». Però al secondo turno in Francia si coalizzano tutti contro la Le Pen. È l’ultima eredità del passato: la «disciplina repubblicana». «Ho notato che Mélenchon, candidato della sinistra radicale, con intelligenza non ha dato indicazioni di voto. Ovvio: ha passato tutta la campagna a dire, ed è vero, che Macron è il guardiano del sistema».

Dica la verità, si aspettava più voti per la Le Pen? «No, in Francia c’è ancora la “conventio ad excludendum”, che si trasforma in un tutti contro uno. Ma noto con soddisfazione che le questioni su cui noi ci battiamo da anni ormai sono entrate nel senso comune, non sono più tabù».

Perché? «I cosiddetti populisti hanno già vinto quando il dibattito politico si sposta sui loro terreno e insegue le loro ricette». Ovvero? «Prenda l’immigrazione: oggi, astutamente, Minniti fa finta di contrastarla. Il loro ultimo slogan è: “Sicurezza è una parola di sinistra”».

Si sente insidiata? Sorriso. «Macché! Ci fanno pubblicità. Ogni volta che lo ripetono ci danno ragione retroattivamente. E poi se fanno tutto questo parlare e poi nel decreto sicurezza invece di affrontare il problema dei furti e delle rapine mettono il daspo ai writers…». Populismo, secondo i suoi detrattori, è usare la demagogia per catturare consensi. «Dostoevskij, diceva che “populista è colui che ascolta”. Per la condizione nella quale opera, la Le Pen ha fatto un miracolo. Quando finalmente potremo andare a votare noi, faremo la nostra parte».
Il governo Gentiloni rafforza Renzi? «A me pare che Gentiloni abbia rafforzato Gentiloni, e quindi abbia indebolito la leadership del Pd». Questo governo le piace più o meno del precedente? «Dal punto di vista logico, dopo il referendum, siamo passati da governi non scelti dagli elettori, a governi costituiti contro di loro. Una nuova magia del centrosinistra». Ma è più o meno popolare di quello di Renzi? «Più impopolare di quello Renzi è impossibile: però siamo ad un altro miracolo politologico».

Quale? «Un governo nato con l’unico scopo ufficiale della legge elettorale che si occupa di tutto tranne che di legge elettorale». Però gestisce le emergenze. «Ah, per fortuna. Così vedremo cosa si inventano su Alitalia. L’ha visto il video di Renzi del 2015 che sta scalando YouTube? “Vorrei chiedervi di allacciarvi le cinture! Perché qui stiamo decollando davvero: il decollo di Alitalia è il decollo dell’Italia!”». Non maramaldeggi, adesso. «Al contrario. Sono angosciata per questa crisi, proprio perché penso, all’esatto opposto di Renzi, che la crisi di Alitalia sia anche la crisi dell’Italia. Perdiamo posti di lavoro, capacità industriale, sovranità. Servono risposte, non slogan».

Ma davvero adesso lei sta mediando tra Berlusconi e Salvini? «Certo, sì. Vede, sono molto diversa da come mi raccontano. È che ho un solo obiettivo. Non far vincere le elezioni all’establishment del Pd o ai pasticcioni del M5S». Addirittura? «Ma lei ha capito con chi stanno in Francia i grillini? Ho letto dichiarazioni acrobatiche».

È così importante? «Beh, sì: visto che loro sono proeuro ma anche contro l’euro, contro le Ong ma a favore dell’immigrazione incontrollata, in abito da sera, contro il liberismo ma anche dentro l’Alde, il gruppo dei liberisti. Che però li caccia. Fantastico. La posizione sulla Francia è la cartina di tornasole di questo caos». Lei è preoccupata perché ha visto la virata a destra di Grillo, l’intervista ad Avvenire, il dialogo con il mondo cattolico conservatore… «Peccato che alla Camera fossero impegnati a presentare l’unico emendamento che chiedeva l’eutanasia nella discussione sul testamento biologico».

Anche loro sono oltre la divisione destra-sinistra. «No, loro sono gente di sinistra che si nasconde per prendere voti a destra. Sono l’assenza di visione e l’esaltazione della politica fatta solo per il consenso. E questo produce una sostanziale incapacità di governare, come abbiamo visto a Roma. Io sto ancora aspettando la funivia». Vi rubano voti a destra? «Alla lunga no, la gente non è stupida. A patto che, ed è il motivo per cui mi impegno a mediare, noi restiamo uniti». Ma c’è un punto di equilibrio? «Io credo di si. Abbiamo i contenuti, le forze, i voti, le identità: Berlusconi è anche quello che ha sfidato la Merkel e Sarkozy. È più populista che popolarista. A destra oggi manca solo un portabandiera». Che sarà anche il leader? «Siamo, e restiamo, tutti leader. Un portabandiera scelto con le primarie è la figura che guiderà la campagna elettorale alla vittoria. Siamo più forti, abbiamo cultura di governo, non possiamo consegnare l’Italia alla follia grillina o alla restaurazione renziana».